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Corriere: Passo importante e qualche limite

Università all'esame della ricerca

25/07/2009
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Corriere della sera

di FRANCESCO GIAVAZZI
Quattro anni fa, per iniziativa del mini­stro Moratti, fu svolta una valuta­zione della ricerca prodotta nelle nostre università se­guendo criteri normali in altri Paesi, ad esempio la Gran Bretagna. La valutazio­ne avvenne sia consultan­do indicatori oggettivi, sia chiedendo il parere di esperti, spesso di universi­tà non italiane.

Per quattro anni chi a quell’esercizio si dedicò con passione fu deluso e de­riso. Deluso perché la pro­messa di usare quei risulta­ti per allocare i fondi pub­blici tenendo conto del me­rito scientifico fu presto di­menticata. Deriso dai molti colleghi che in questi anni non hanno perso occasio­ne per sottolineare l’inge­nuità di chi ancora crede al­la possibilità di migliorare la nostra università.

La decisione del mini­stro Gelmini di usare quei risultati per allocare una quota, seppur piccola, del fondo ordinario di finanzia­mento delle università è un passo importante. Non so­lo perché per la prima volta in Italia si introduce un cri­terio di merito nell’alloca­zione alle università delle ri­sorse pubbliche, ma soprat­tutto perché, se quell’eserci­zio fosse rimasto lettera morta, nessuna valutazio­ne, per quanto ottima, avrebbe più avuto alcuna credibilità.

Certo, vi sono moltissi­mi limiti. La quota dei fon­di pubblici allocati sulla ba­se dei risultati della ricerca è minuscola, solo il 5% (un altro 2% è assegnato in base a valutazioni sulla didatti­ca). In quel 5% il giudizio di quattro anni fa conta solo per una metà: il resto dipen­de in parte dalla capacità dei dipartimenti di attrarre finanziamenti europei (e questo è bene), in parte dal­la partecipazione a progetti di ricerca nazionali, che in­vece sono notoriamente as­segnati secondo criteri di­versi dalla qualità scientifi­ca.

Il limite più grave è che i fondi saranno allocati sulla base della valutazione me­dia dei dipartimenti di un’università, anziché desti­narli direttamente a chi ha più meritato. Ad esempio, il dipartimento di matema­tica di Tor Vergata è stato giudicato uno dei migliori in Italia: questo consente a quell’università di ottenere un po’ di fondi in più. Co­me li distribuirà il rettore? Anche ai giuristi, che a Tor Vergata hanno ottenuto una valutazione non parti­colarmente brillante?

Importanti sono anche la nascita dell’Agenzia per la valutazione dell’universi­tà con organi scelti attraver­so un meccanismo che limi­ta la discrezionalità del mi­nistro, la ripresa delle valu­tazioni della ricerca miglio­randone i criteri, il limite al­la proliferazione degli inse­gnamenti, la riduzione di settori disciplinari, in pas­sato costruiti in modo da dare ad ogni gruppetto di baroni un proprio feudo.

Non si cambia l’universi­tà in un giorno, ma questo è un secondo segnale forte (il primo fu il decreto sui concorsi di novembre) del quale il ministro Gelmini porta tutto il merito. Il pas­so successivo sarà cambia­re la governance degli ate­nei limitando il potere dei rettori, oggi sottratti a qua­lunque controllo e schiavi dei loro grandi elettori.

E tuttavia, nessuna rifor­ma salverà le nostre univer­sità se queste rimarranno senza risorse. Con i tagli confermati nel Dpef molte università a novembre chiu­deranno. La scelta è del mi­nistro dell’Economia: o ri­nuncia ai suoi tagli, o ha il coraggio di proporre un in­nalzamento delle rette pa­gate dalle famiglie. Oggi può ancora scegliere; a no­vembre, quando gli atenei bruceranno, potrà solo pa­gare per spegnere l’incen­dio.


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