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Corriere: Parigi, università con corsia preferenziale

Dal 2001 alla Sciences-Po i figli di immigrati non fanno i test di ammissione. Successo del programma che aveva suscitato polemiche: da 17 gli studenti ammessi sono diventati 118

03/03/2009
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Corriere della sera

Dal 2001 alla Sciences-Po i figli di immigrati non fanno i test di ammissione

Quando cominciò l'esperimento, nel 2001, furono più le polemiche delle speranze: ci fu addirittura chi parlò di attentato al modello (e al mito) repubblicano. Ma a otto anni di distanza, il bilancio non ammette smentite: le Conventions d'Education Prioritaire

sperimentate dalla prestigiosa Sciences-Po di Parigi sono un successo. Ben motivati e seguiti, anche studenti che provengono da scuole superiori «disagiate», immigrati, ragazzi che vivono in famiglie e regioni economicamente e culturalmente povere, in altre parole, alunni che non passerebbero mai i test di ammissione alle Università, possono diventare degli studenti del tutto integrati, anzi anche molto bravi.

Ci hanno provato in Francia. A fare da pionieri Richard Descoings, il preside, insieme ai professori della facoltà di Scienze politiche. E l'esperimento ha funzionato. Grazie ad accordi mirati con alcune scuole superiori delle zone disagiate vengono selezionati alunni in base ad un percorso più complesso del semplice test. A partire dal penultimo anno di superiori i ragazzi vengono sensibilizzati, entrano in contatto con l'Università e vengono scelti prima dalla scuola, poi attraverso i voti della maturità e infine con un colloquio con una commissione dell'Università. Niente test, perché, come sostiene Descoings, «l'uguaglianza formale di trattamento non garantisce pari opportunità, nè tanto meno giustizia o equità».

Chi passa la selezione non ha diritti extra, rispetto agli altri studenti, se si escludono un tutore (un professore che li segua da vicino) nel primo anno di studi e una borsa di studio: per il resto devono studiare come e più degli altri, perché non si tratta di quote, regali o percorsi differenziati. L'idea è quella che questi studenti a cui è fatta un'apertura di credito si conquistino il diritto a non essere «differenziati», una vera e propria forma di lotta all'esclusione e all'auto- esclusione. Risultato: gli studenti ammessi erano 17 nel 2001, oggi sono 118. Il percorso differenziato di ammissione riguarda tutti i ragazzi che provengono da un milieu culturale basso, per intenderci classi sociali disagiate e ovviamente da famiglie di immigrati: due terzi dei ragazzi hanno almeno un genitore non francese, la metà sono figli di immigrati. Hanno un solo dovere: studiare. Ma, come nota il bilancio eseguito dall'Università parigina quest'anno, si integrano con facilità nelle associazioni di studenti e in quelle sportive, segno che riescono a cogliere lo spirito dell'esperimento. Quando Descoings — che di recente è stato chiamato da Sarkozy a fare da mediatore nel conflitto per la riforma dei licei francesi — lo propose, sette anni fa, si aprì un dibattito molto aspro: non rischiava questo programma di creare una falla nel rigoroso sistema degli esami di ammissione sul quale da oltre mezzo secolo si misura la serietà delle Università e delle Grandes écoles? Oggi, anche altre facoltà hanno iniziato a sperimentare il modello Sciences-Po.

Alla fine del curriculum universitario gli studenti che hanno partecipato al programma hanno la stessa media di promozione degli altri studenti (nove su dieci) e le stesse chance di ingresso nel mercato del lavoro. «Questo programma allarga gli orizzonti a studenti la cui conoscenza di Parigi si ferma alla stazione metro di Place de Clichy», chiosa il preside del Liceo Auguste Balqui, Henri Theodet. «Abbiamo resuscitato l'idea che lavorando sodo si può avere successo e a sconfiggere la cultura del fallimento », spiega Philippe Destelle, coordinatore al Liceo Jean Renoir a Bondy, nei dintorni di Parigi. In altra parole, come hanno raccontato alcuni degli studenti tornati nelle loro scuole di origine, permette a ragazzi dotati e volenterosi di osare un passo che altrimenti, per distanza culturale dell'ambiente, non sarebbe neanche stato nei loro pensieri.


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