Corriere: Nessun ateneo italiano tra i primi 150
La classifica Il rapporto di «Times». Il ministero: si spende per corsi e sedi, non per la didattica Harvard in testa, Bologna a quota 174. La Gelmini: la riforma è urgente
ROMA — Edizione 2009 della classifica del Times Higher Education Supplement. Zero novità per i nostri atenei. Tra le prime centocinquanta università nessuna è italiana. L’«Alma Mater» di Bologna, unico segnale positivo, sale dal 192? al 174? posto. «La Sapienza » di Roma mantiene la posizione 205. Insomma ancora una conferma autorevole sulle difficoltà del nostro sistema di far crescere al suo interno atenei di eccellenza, in grado di svettare in cima ai vari ranking seguiti con sempre maggiore attenzione da famiglie e aziende. «La classifica del Times conferma clamorosamente quello che abbiamo sempre sostenuto, cioè che il sistema universitario italiano va riformato con urgenza — è il commento del ministro Mariastella Gelmini —. Siamo agli ultimi posti nelle classifiche mondiali. Per questo motivo presenteremo a novembre la riforma dell’Università, con l’obiettivo di promuovere la qualità, premiare il merito, abolire gli sprechi e le rendite di posizione».
L’elenco stilato dal «Times» fotografa la sfida tra le università statunitensi e le sempre più aggressive e competitive università britanniche e cinesi. Un’occhiata alla classifica delle prime 100 rivela che il numero di atenei nordamericani è sceso da 42 a 39, mentre le università europee sono salite da 36 e 39 e le asiatiche da 14 a 16. Confermata la supremazia del New England, con Harvard al primo posto, Yale al terzo (ma l’anno scorso era seconda) e Princeton all’ottavo (nel 2008 era dodicesima). Nella graduatoria riguardante la categoria degli atenei tecnici si impongono come sempre gli Usa, con il Mit al nono posto e il Caltech al decimo. Un po’ più sotto troviamo anche una rappresentanza italiana: il Politecnico di Milano — il dato non è ancora ufficiale — avrebbe conquistato il 54? posto. Ma solo in questo settore. Nella classifica generale, penalizzato dallo scarso numero di facoltà, si è piazzato intorno al 280? posto.
I rettori dei nostri atenei invitano a riflettere sulle regole con cui è stata stilata la graduatoria e a tener conto degli scarsi investimenti. Una giustificazione che il ministro respinge senza mezzi termini: «È risibile il tentativo di qualcuno di collegare la bassa qualità dell’università italiana alla quantità delle risorse erogate». «Il problema, come ormai hanno compreso tutti — dice la Gelmini —, non è quanto si spende (siamo in linea con la media europea) ma come vengono spese le risorse destinate all’università. Spesso per aprire sedi distaccate non necessarie e corsi di laurea inutili. Tutto questo deve finire. Mi auguro — ha concluso il ministro — di non dover più vedere in futuro la prima università italiana al 174? posto».
Novantacinque atenei, 320 sedi distaccate, 37 corsi con 1 solo studente, 327 facoltà che non superano i 15 iscritti, 170.000 le materie insegnate contro una media europea di 90.000, corsi di laurea raddoppiati (da 2.444 a 5.500) in otto anni (in Europa sono la metà): in questi dati, che rappresentano uno spreco di risorse, vanno ricercate secondo il ministro le cause del pessimo piazzamento.
Giulio Benedetti