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Corriere: Matteo e quell'elenco di pregiudizi lungo 30 anni

La scrittrice Clara Sereni racconta la vicenda di suo figlio, disabile psichico, dall'asilo all'istituto tecnico

20/10/2008
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Corriere della sera

«Matteo è nato nel 1978, a novembre. Ero incinta di lui quando è passata la 180». La 180, che per Clara Sereni non ha bisogno di altre definizioni, è la legge Basaglia; quella con cui l'Italia chiuse le porte dei suoi manicomi. Pochi mesi prima, con la 517/77, iniziava il lungo cammino dell'integrazione scolastica per i disabili.

La vita di Matteo si è snodata parallela a questo percorso. Disabile psichico dalla nascita, figlio della scrittrice (ultima fatica, Il lupo mercante) e dello sceneggiatore Stefano Rulli (da Mery per sempre a Romanzo criminale, e soprattutto

Un silenzio particolare, film su, con, per Matteo), «con una diagnosi arrivata tardi, perché le persone con cui lavoravamo erano contrarie allo "stigma" ». Però intanto c'è la vita, scandita dalle tappe di tutti. Asilo, elementari. Il contatto con gli altri, anche per quel bimbo taciturno, che non legge («non lo fa tuttora»), insomma è «diverso».

«I guai sono iniziati in prima media: convocati, ci troviamo di fronte collegio docenti, preside, medico scolastico, tipo tribunale dell'inquisizione. Matteo aveva fatto vedere il pisello in classe». I ricordi di Clara Sereni sono lucidi e taglienti, la «pregevole dissertazione» del medico «che conclude "i matti non possono gestire la propria sessualità"», lei e Stefano «disperati sulle spallette del Tevere», la solidarietà di una mamma «che rivelò come tutti lo facessero di nascosto, solo che a Matteo avevano detto di farlo davanti ai prof...». Il problema, dice ora, «erano i pregiudizi». Gli stessi che hanno inseguito Matteo, da Roma a Perugia, riacciuffandolo al secondo anno di tecnico. «Classe problematica. Ma le famiglie non sapevano che fare. Così si decise che il problema era uno solo: Matteo».

Matteo che non regge più, se ne va. «E dire che c'erano sia prof di sostegno che assistente del Comune, quindi la situazione, rispetto all'oggi, era molto buona». Ma i problemi, anche quando il sostegno c'è, non mancano. «Ci siamo scontrati con quella che chiamo la sindrome dell'"io ti salverò", di chi arrivava pensando "qui si è sbagliato tutto, ora vi faccio vedere"». O quel docente «che teneva Matteo fuori dall'aula, gli faceva preparare la pizza per i compagni... Invece, pure a chi non può imparare niente serve come il pane stare con gli altri. E viceversa: non aiutare a confrontarsi con la diversità è un danno irreparabile ». Il discorso si allarga, «perché è così difficile la relazione col "matto"? Ma perché la pazzia è parte di noi. Però nessuno si taglierebbe un braccio se gli fa male, mentre oggi si taglia via la follia».

I tagli, ecco. «Nel corso degli anni hanno colpito per primi proprio gli insegnanti di sostegno. E al contempo si è persa la memoria di quando il sostegno era alla classe, non al singolo». Un'idea forgiata in un clima culturale preciso, don Milani, il '68. «Nel clima attuale, la diversità fa paura: migranti, zingari, matti... E io, che in quanto a essere "altro" sono pure ebrea, osservo con preoccupazione questa perdita di memoria storica». Il futuro non sembra più luminoso, «pensi al maestro unico con 30 bambini a cui insegnare inglese, informatica e tutto il resto: è chiaro che si lasceranno indietro i più fragili... Ma escludere la diversità ha dei costi; meglio un prof di sostegno oggi che mantenere un ragazzo in istituto per tutta la vita, no?». Dieci anni fa, a Perugia, Clara e Stefano hanno creato la Città del Sole ( www.la-citta-del-sole.com), «ci occupiamo di giovani adulti con disabilità psichiche gravi». A novembre ospiteranno un convegno nazionale, con oratori «che fanno mestieri diversi, sindacalisti, politici, industriali. In Italia, oggi, bisogna ancora rompere il muro sulla diversità».

Clara Sereni fa la scrittrice, e ogni tanto inventa parole: «ma una non l'ho ancora trovata». Perché tolleranza, ecco, «proprio non mi piace: significa "io che me lo posso permettere, tollero te che sei un po' rompicoglioni". Vorrei una parola diversa, che significhi interesse, condivisione, compassione». Chissà se la scuola saprà inventarla.

Ga.Ja


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