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Corriere: Ma sul latino c’è confusione

la riduzione del tempo d’istruzione funziona solo se si par­te dalla ridefinizione delle compe­tenze che si intendono raggiunge­re. Spiace osservare invece che nei regolamenti dei licei non vi è coe­renza tra i «profili educativi» di­chiarati e i quadri orari, dai quali non traspare mai una visione d’in­sieme che dia ragione delle scelte operate.

13/06/2009
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Corriere della sera

di PAOLO FERRATINI

Un rapido confronto fra i quadri orari dei licei approvati ieri dal Consiglio dei mi­nistri e quelli circola­ti ufficiosamente fino a qualche settimana fa non lascia dubbi. Il vincolo della riduzione della spesa è un obiettivo, non a latere, ma prioritario della riforma degli ordi­namenti. Un sospetto era venuto anche dinanzi ai nuovi tecnici e professionali, licenziati il 28 mag­gio: le 396 ore di laboratorio nel bi­ennio diventate, con un tratto di penna, 264. Per i licei, tuttavia, la scure si è abbattuta sul monte ore delle discipline, ben oltre gli an­nunci. Meno ore, va detto, non vuol dire meno qualità. Anzi, i Pae­si europei con risultati migliori dei nostri, hanno mediamente quadri orari più scarni.

Ma la riduzione del tempo d’istruzione funziona solo se si par­te dalla ridefinizione delle compe­tenze che si intendono raggiunge­re. Spiace osservare invece che nei regolamenti dei licei non vi è coe­renza tra i «profili educativi» di­chiarati e i quadri orari, dai quali non traspare mai una visione d’in­sieme che dia ragione delle scelte operate.

Perché, per esempio, la giusta opzione di ricondurre lo studio del­la geografia nell’ambito di una di­versa impostazione della storia, di carattere antropico e spaziale, vale solo nei licei artistico, musicale e scientifico, e non negli altri? Per­ché, diversamente da come si è operato nei tecnici, non si è intro­dotto anche nei bienni dei licei l’in­segnamento di Scienze integrate, mettendo insieme fisica, chimica e biologia e facilitando in tal modo l’apprendimento di un modello de­scrittivo della natura di tipo unita­rio, come ci insegna lo sviluppo della scienza da un paio di secoli in qua? E qual è l’idea di fondo di formazione, elettivamente intro­duttiva agli studi terziari di caratte­re scientifico, del nuovo Liceo, per l’appunto, scientifico? Il confronto con l’attuale Piano Nazionale di In­formatica — oggi largamente mag­gioritario — dice centocinquanta ore in più di scienze, ma cento in meno di matematica e duecento in meno di fisica. Può darsi che vi sia una ratio. Ma quale?

Altro caso esemplare è quello del latino. Con l’introduzione del­l’opzione scientifico-tecnologica e di quella economico-sociale, indi­rizzi entrambi senza il latino, sem­bra sia stata sconfitta la linea vete­ro- gentiliana per cui ciò che segna la «licealità» — nota idea platoni­ca, visto che non ve n’è traccia in natura — è, appunto, l’insegna­mento della lingua di Cicerone. Fa tuttavia problema il suo manteni­mento, così come è stato configu­rato, in alcuni indirizzi. Perché il Li­ceo delle scienze umane a indiriz­zo psicopedagogico ha il latino e quello economico-sociale no? Agli economisti e ai sociologi non ser­ve, agli psicologi e ai pedagogisti sì? L’impressione è, insomma, che abbia prevalso un criterio orienta­to da un lato dal diktat quantitati­vo di Via XX Settembre, dall’altro dalla necessità di non collidere frontalmente con le lobby dei disci­plinaristi. Due spinte contrastanti, che non hanno prodotto una sinte­si convincente.


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