Corriere: Ma sul latino c’è confusione
la riduzione del tempo d’istruzione funziona solo se si parte dalla ridefinizione delle competenze che si intendono raggiungere. Spiace osservare invece che nei regolamenti dei licei non vi è coerenza tra i «profili educativi» dichiarati e i quadri orari, dai quali non traspare mai una visione d’insieme che dia ragione delle scelte operate.
di PAOLO FERRATINI
Un rapido confronto fra i quadri orari dei licei approvati ieri dal Consiglio dei ministri e quelli circolati ufficiosamente fino a qualche settimana fa non lascia dubbi. Il vincolo della riduzione della spesa è un obiettivo, non a latere, ma prioritario della riforma degli ordinamenti. Un sospetto era venuto anche dinanzi ai nuovi tecnici e professionali, licenziati il 28 maggio: le 396 ore di laboratorio nel biennio diventate, con un tratto di penna, 264. Per i licei, tuttavia, la scure si è abbattuta sul monte ore delle discipline, ben oltre gli annunci. Meno ore, va detto, non vuol dire meno qualità. Anzi, i Paesi europei con risultati migliori dei nostri, hanno mediamente quadri orari più scarni.
Ma la riduzione del tempo d’istruzione funziona solo se si parte dalla ridefinizione delle competenze che si intendono raggiungere. Spiace osservare invece che nei regolamenti dei licei non vi è coerenza tra i «profili educativi» dichiarati e i quadri orari, dai quali non traspare mai una visione d’insieme che dia ragione delle scelte operate.
Perché, per esempio, la giusta opzione di ricondurre lo studio della geografia nell’ambito di una diversa impostazione della storia, di carattere antropico e spaziale, vale solo nei licei artistico, musicale e scientifico, e non negli altri? Perché, diversamente da come si è operato nei tecnici, non si è introdotto anche nei bienni dei licei l’insegnamento di Scienze integrate, mettendo insieme fisica, chimica e biologia e facilitando in tal modo l’apprendimento di un modello descrittivo della natura di tipo unitario, come ci insegna lo sviluppo della scienza da un paio di secoli in qua? E qual è l’idea di fondo di formazione, elettivamente introduttiva agli studi terziari di carattere scientifico, del nuovo Liceo, per l’appunto, scientifico? Il confronto con l’attuale Piano Nazionale di Informatica — oggi largamente maggioritario — dice centocinquanta ore in più di scienze, ma cento in meno di matematica e duecento in meno di fisica. Può darsi che vi sia una ratio. Ma quale?
Altro caso esemplare è quello del latino. Con l’introduzione dell’opzione scientifico-tecnologica e di quella economico-sociale, indirizzi entrambi senza il latino, sembra sia stata sconfitta la linea vetero- gentiliana per cui ciò che segna la «licealità» — nota idea platonica, visto che non ve n’è traccia in natura — è, appunto, l’insegnamento della lingua di Cicerone. Fa tuttavia problema il suo mantenimento, così come è stato configurato, in alcuni indirizzi. Perché il Liceo delle scienze umane a indirizzo psicopedagogico ha il latino e quello economico-sociale no? Agli economisti e ai sociologi non serve, agli psicologi e ai pedagogisti sì? L’impressione è, insomma, che abbia prevalso un criterio orientato da un lato dal diktat quantitativo di Via XX Settembre, dall’altro dalla necessità di non collidere frontalmente con le lobby dei disciplinaristi. Due spinte contrastanti, che non hanno prodotto una sintesi convincente.