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Corriere: Ma la colpa non è solo dei ragazzi

La formazione

20/03/2008
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Corriere della sera

di GIUSEPPE ROMA

Fra le poche buone notizie economiche degli ultimi tempi primeggia la capacità competitiva delle nostre imprese industriali e artigiane che hanno riconquistato posizioni di rilievo nei mercati internazionali. Per crescita dell'export siamo secondi solo alla Germania (+10% nell'ultimo anno) e il successo deriva soprattutto dalla vendita all'estero di tecnologie, di macchinari, di impianti e componentistica. Ora scopriamo che i limiti di sistema, paventati come ragioni di un decadimento nazionale, sono ben diversi da quelli prospettati come ricorrenti luoghi comuni. E cioè: imprese troppo piccole, poca ricerca, scarsa internazionalizzazione.
A frenare l'espansione produttiva c'è, piuttosto, il disinteresse dell'opinione pubblica e delle istituzione verso gli elementi base della produzione materiale. Il contenuto specifico del lavoro, il suo valore come fattore di progresso e utilità sociale hanno ceduto il posto alle incertezze contrattuali, alle ambigue prospettive pensionistiche, al disinteresse per competenze specialistiche, acquisite con la formazione e con l'apprendimento nell'impresa. Per ragioni diverse — attribuibili al contesto ma anche alle nuove generazioni — alla fatica si va sostituendo lo stress da lavoro, di un lavoro generico e spersonalizzato. Più di un terzo degli occupati con meno di 29 anni, infatti, fa l'impiegato, l'operatore di contatto, l'addetto alle vendite o alla ristorazione, tutte attività poco coinvolgenti, a qualificazione generica e con scarse prospettive di miglioramento professionale.
Dall'altra parte, oltre metà delle richieste per mansioni qualificate di tipo tecnico-manuale non incontrano un'offerta corrispondente di risorse umane, tanto da venire considerate figure professionali di difficile reperimento. Non possiamo attribuire questa situazione paradossale ai nostri giovani che, nella media, non sono diversi da quelli dei decenni precedenti, ma alla sottovalutazione dell'impresa, della cultura tecnica e della sperimentazione artigianale del sapere. Gli istituti tecnici e professionali, che hanno accompagnato egregiamente l'industrializzazione diffusa degli anni 60, rischiano una crisi di identità e di ruolo, stretti fra la crescita dei licei e la proliferazione delle lauree brevi. I servizi metropolitani — dal call center, al centro commerciale, al fast food — sono visibili e organizzano, tramite intermediari, la loro massiva richiesta di giovani addetti. E fra l'intermediazione non manca quella clientelare. Mentre l'artigiano ha bisogno di selezionare sulla base di attitudini e motivazioni; ogni persona è una risorsa preziosa che deve partecipare attivamente ai processi in cui è inserito.
Come ne usciamo? Abbandonando messaggi negativi su giovani generazioni destinate a non poter scommettere sul futuro ed evitando stabilizzazioni «ope legis». L'impegno deve essere soprattutto per orientare i giovani dove si profilano opportunità non sfruttate come la produzione materiale, che offre un lavoro gratificante e professionale, peraltro, in gran parte, stabile e ben remunerato.
Direttore generale del Censis


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