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Corriere: Ma gli imprenditori non credano di fare ricerca a spese nostre

L’elogio che Emma Marcegaglia ha riservato, in un convegno a Parma, al progetto di riforma Gelmini, definendola una «bella riforma» che la Confindustria ha appoggiato non rappresenta un confortante auspicio

25/07/2010
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Corriere della sera

Dario Antiseri
L’elogio che Emma Marcegaglia ha riservato, in un convegno a Parma, al progetto di riforma Gelmini, definendola una «bella riforma» che la Confindustria ha appoggiato non rappresenta un confortante auspicio qualora il «bello della riforma» dovesse consistere, tramite l’immissione di «esterni» nei Cda delle Università, nella distruzione dell’autonomia dell’Università e nella confisca di questa da parte di astuti interessati, politici bolliti, manager riciclati e simili compari affamati di prebende e incapaci, da nessuno obbligati o comunque non disposti, a dare un euro all’Università. Non è da pensare che sia questa l’intenzione di una persona accorta come la Marcegaglia, la quale, mentre critica i «baroni», non farebbe tuttavia forse male a dare uno sguardo in «casa propria».

Certo, molteplici possono essere le forme di collaborazione tra le Università e le Associazioni degli industriali e degli imprenditori. Così, per esemplificare, un’importante forma di collaborazione si avrebbe se la Confindustria facesse sistematicamente presenti alle Università problemi, necessità e potenziali sviluppi del sistema produttivo italiano. D’altro canto, la Confindustria conta 142.762 imprese affiliate; la Confartigianato ne ha 700.000 e la Confcommercio 740.000. Ebbene, se ogni impresa o azienda affiliata a queste Confederazioni stanziasse soltanto 500 euro l’anno da destinare a Centri di ricerca in grado di realizzare ricerche in campo industriale, verrebbe finalmente offerto al Paese uno splendido esempio di efficace ed intelligente collaborazione con il sistema universitario. E davvero lungimirante sarebbe un contributo finanziario della Confindustria all’incremento dell’edilizia per studenti universitari (servono per i nostri Atenei 200.000 posti letto). Dunque: se industriali, banchieri ed altri «esterni» intendono avere e possa fronteggiare una competizione sempre più severa. Ma farsi del bene a spese degli altri è il peggiore dei princìpi, uno spudorato affronto ad ogni parvenza di etica liberale. E quand’è che si comprenderà che, per lo stesso sistema produttivo, ancora più importante di quella applicata è la ricerca pura o di base? E poi, con le poche risorse disponibili, quale sarà mai il destino delle Facoltà umanistiche? Ciò che non andrebbe mai dimenticato, per dirla con il filosofo tedesco Hans Albert, è che nulla vi è di più pratico che una buona


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