Corriere: Libertà e rigore per l'università
Ernesto Galli della Loggia
Più di un segnale lascia credere che oggi è forse diventato possibile per l'Università italiana aprire una pagina nuova. C'è finalmente un ministro determinato, incline a scelte di razionalità e di buon senso, capace di non farsi intimidire dalle solite sparute minoranze protestatarie. C'è anche un'opposizione che sembra aver capito l'errore della politica del rifiuto, che appare saggiamente riluttante a sposare le agitazioni delle minoranze di cui sopra, e anzi è forse pronta a dialogare con la maggioranza.
La spinta riformatrice è oggi aiutata, infine, da un'opinione pubblica che si è massicciamente convinta che l'Università così com'è non può andare avanti, che bisogna che cambi e subito. Questa opinione pubblica ha in gran parte capito che la questione dei «tagli» di bilancio, sebbene cruciale, non può tuttavia essere disgiunta da una contemporanea, profonda, revisione dell'istituzione universitaria.
Sono ormai chiare, e largamente condivise sia dentro che fuori l'Università, le quattro direzioni in cui il ministro Gelmini intende molto verosimilmente andare: a) una drastica riduzione del numero dei corsi di laurea e del numero degli esami necessari per ogni corso di laurea, cresciuti oltre ogni ragionevolezza (per una tesi triennale si può arrivare attualmente a dover sostenere trenta esami!), nonché della possibilità per gli Atenei di aprire sedi distaccate; b) prevedere per il reclutamento dei docenti universitari l'istituzione di un concorso d'idoneità nazionale, facendola finita con il localismo degli ultimi 15 anni che tanti danni ha fatto; al tempo stesso, per ciò che riguarda il reclutamento dei ricercatori, destinato a subire senz'altro un notevole incremento, far precedere il loro ingresso in ruolo da un periodo di prova di 4-5 anni; c) impedire che, come accade adesso, all'interno dei singoli atenei le stesse persone occupino per anni e anni i posti di governo, ma contemporaneamente dotare i rettori di strumenti più efficaci di gestione; d) accorpare infine i dottorati di ricerca post-laurea, oggi disseminati in pratica in ogni dipartimento, e spesso dotati di non più di due-tre posti, riqualificandone la funzione soprattutto attraverso l'obbligo di impartire una docenza vera e non fittizia come in troppi casi è quella attuale.
Si tratta, ripeto, di provvedimenti che oggi possono raccogliere un consenso vastissimo. Che vanno accompagnati da uno spirito nuovo che il ministro deve riuscire a immettere nella politica universitaria: uno spirito di libertà e insieme di rigore. Perché ad esempio non lasciare ogni facoltà libera di insegnare Diritto o Filosofia o Chimica nel numero d'anni che essa ritiene idoneo e impartendo gli insegnamenti che essa giudica necessari, fatti salvi alcuni pochi stabiliti dal Ministero? Non sarebbe questo un modo di cominciare a introdurre un po' di sana competitività nel sistema? Il rigore deve invece riguardare il fondo di finanziamento annuale dello Stato alle varie Università, il quale deve dipendere in misura crescente da accertati criteri di sana gestione e da altrettanto accertati risultati nell'ambito della ricerca scientifica. Basterebbero questi provvedimenti a migliorare in misura significativa la condizione dell'Università italiana: se il ministro Gelmini li adotterà sarà riuscita in un'impresa che, è bene ricordarlo, negli ultimi trent'anni non è riuscita a nessuno dei suoi predecessori.