Corriere: La maturità e la meritocrazia che non c’è
La scuola italiana è incapace di misurare se stessa
Quest’anno i 100 e lode della maturità italiana riceveranno un premio di circa mille euro in base ad una legge varata dal ministro Fioroni nel 2007. Sembra un primo esempio di meritocrazia ma non lo è, perché non tutti forse si meritano il premio. Infatti le regioni del Sud esibiscono una poco credibile performance di un numero di 100 e lode in relazione agli esaminati doppio di quelle del Nord. Alcune scuole del Sud addirittura maturano più di venti 100 e lode, mentre i migliori licei milanesi e romani ne hanno uno solo. Il messaggio che viene da questi dati non è che al Sud non ci sono ottimi studenti, perché non sarebbe vero, ma che la maturità serve a poco per valutare il rendimento degli studenti e paragonarlo tra diverse scuole. Peraltro non è una nuova scoperta. I «Pisa test» dell’Ocse sulla comprensione del testo e la matematica da parte dei quindicenni dimostrano che l’Italia mediamente va male, ma che il Nord è più o meno in linea con la media europea (largamente distante dalla eccellenza della Finlandia) e il Sud è a livello dell’Uruguay.
Eppure i voti degli insegnanti del Sud sono a livello di quelli del Nord. Le prove dell’Invalsi sulla terza media, anch’esse basate su test obbiettivi, evidenziano che al Sud ci sono circa 10 punti in meno rispetto al Nord. La realtà è sotto gli occhi di tutti: qualunque approccio alla valutazione del rendimento degli alunni basato unicamente su esami interni non rivela la realtà reale sul merito di studenti e insegnanti. Solo valutazioni esterne basate su test nazionali standard (non quiz, ma domande a risposta multipla sulla capacità di comprendere testi scritti e risolvere problemi di logica e matematica) forniscono una misura oggettiva. Il nostro sistema educativo è spaventosamente indietro nello sviluppare ed amministrare questo tipo di test: nel mondo anglosassone esistono da quasi 80 anni e le società emergenti li stanno adottando quasi tutte. Da noi, l’Invalsi, che dovrebbe svilupparli e amministrarli, sta tentando faticosamente di uscire dal commissariamento e comunque la legge che ne definisce la missione è tutto fuorché chiara.
La cronica incapacità del nostro sistema educativo di misurare in modo oggettivo la capacità di apprendimento degli studenti (peraltro criticata recentemente anche dal rapporto Ocse sull’Italia) è alla base dello spaventoso declino del nostro sistema educativo e della sua incapacità di aumentare le pari opportunità: ricerche su migliaia di giovani dimostrano che esiste una correlazione diretta tra il risultato di questi test a 15 anni e il reddito a 46 anni e quindi le pari opportunità in Italia si fermano a Roma e nessuno lo sa. Non solo, ma la maturità non funziona neanche più come selezione per l’accesso alle università migliori che debbono dotarsi di test di ingresso che in qualche caso vengono anche essi considerati non interamente obbiettivi. Nel corso degli ultimi mesi ho proposto al ministero dell’Istruzione: 1. lanciare test nazionali standard alla fine delle superiori e durante le scuole elementari e medie e ho discusso un programma che, partendo da queste misure obbiettive dell’apprendimento degli studenti, possa valutare la performance delle scuole come base per lanciare un programma nazionale di miglioramento dell’insegnamento.
Tale programma si focalizzerebbe in particolare sul Sud e potrebbe avvalersi di più di un miliardo di fondi Ue disponibili e oggi male utilizzati e sarebbe il primo passo per rilanciare un ispettorato serio come nel Regno Unito (1.500 ispettori) e in Francia (3.000). Da noi gli ispettori sono 150, si chiamano «dirigenti tecnici» e non possono intervenire per la valutazione ma solo per gravi incidenti di tipo disciplinare 2. lanciare un vero «fondo per il merito», con partecipazione di capitali privati, per selezionare gli studenti più bravi e dotarli di voucher per l’accesso alle migliori università. I meno abbienti potrebbero contare su borse di studio per mantenersi lontano da casa e questo approccio darebbe un contributo all’aumento di meritocrazia negli atenei italiani. La trasformazione che questi programmi porterebbero al nostro sistema educativo è epocale, ma urgente e necessaria. Serve un grande coraggio perché le barriere sono forti (in particolare i sindacati della scuola). Solo un massiccio supporto da parte dell’opinione pubblica può garantire che un ministro, anche coraggioso, voglia imbarcarsi in un tale programma. Purtroppo per gli italiani la scuola non è una priorità: prima vengono sicurezza, lavoro, sanità.
Il problema della scuola non esiste. Un questionario internazionale ci descrive come i più pessimisti su tutto tranne che sulla domanda «ritenete che la cultura del vostro Paese sia superiore a quella di altri Paesi?». Il 70 per cento risponde di sì. Simultaneamente i test Ocse sui 16-60enni sulla capacità di comprendere i testi e ragionare con i numeri ci vede ai livelli più bassi. Ci riteniamo più colti degli altri ma molti di noi non capiscono il giornale che leggono. Non stupisce che la scuola non sia la priorità. Se la coscienza degli italiani non si risveglia, premiare i 100 e lode della maturità non sarà un passo avanti nel cammino verso la meritocrazia nel nostro paese.
Roger Abravanel