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Corriere: Io, ricercatore (contento) tornato in Italia

L’aspetto negativo è che investiamo po­co rispetto ad altri. Il nostro Paese deve cerca­re di realizzare le infrastrutture per attirare cer­velli, di qualsiasi nazionalità essi siano.

02/07/2009
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Corriere della sera

di VINCENZO BRONTE
Caro Direttore, ho avuto il privilegio di stringere la mano del presiden­te della Repubblica Napolitano in occasione di due premi che mi so­no stati conferiti dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dalla Fondazione Italia­na per la Ricerca sul Cancro. Questi riconosci­menti sono stati molto importanti, per me e per il mio gruppo, perché hanno premiato ri­cerche condotte quasi integralmente in Italia, dopo il mio rientro dagli Stati Uniti. Hanno an­che confermato che la scelta di rientrare in Ita­lia per continuare le mie ricerche, pur tra di­verse difficoltà, è stata una scelta giusta. Alme­no, ne è valsa la pena. Nei momenti di maggio­re difficoltà in questo lavoro non semplicissi­mo, mi consola il pensiero che abbiamo contri­buito a formare giovani che hanno condiviso la passione per la ricerca, abbiamo mantenuto uno standard più che accettabile di qualità e lasceremo un’eredità a chi vorrà continuare per migliorare ancora, auspicalmente in Italia. L’Italia ha un rapporto piuttosto singolare con la ricerca: a fronte di un finanziamento pubblico fra i più bassi in Europa vi sono risul­tati di eccellenza scientifica innegabili, com­provati dalle pubblicazioni internazionali. A fronte di salari bassissimi per i ricercatori, ci sono istituzioni private come Airc che raccol­gono incessantemente donazioni. Airc distri­buisce questi fondi sotto forma di borse di stu­dio e finanziamenti, attraverso il sistema del peer review, che implica il coinvolgimento di 300 revisori stranieri. Quando scrivo un pro­getto per avere finanziamenti da Airc, so che devo impegnarmi al massimo, che il mio pro­getto sarà giudicato da miei pari, che non fa­ranno sconti e non terranno conto dei premi ricevuti ma solo della qualità ed innovazione della ricerca proposta. E questo vale ormai per quasi tutte le agenzie di finanziamento, in Ita­lia ed in Europa, sia pubbliche che private, ad essere onesti.

Non condivido, pertanto, le visioni estrema­mente pessimistiche di un sistema ricerca allo sbando. Ci sono delle evidenti carenze che dobbiamo definire con chiarezza per poterle colmare. In Italia abbiamo raggiunto importan­tissimi traguardi e recenti statistiche indicano che l’Italia è ai primissimi posti se si considera la produttività scientifica in relazione agli inve­stimenti effettuati. La conclusione è che abbia­mo risorse umane di spicco e la ricerca nasce soprattutto da queste risorse, non dimentichia­molo. L’aspetto negativo è che investiamo po­co rispetto ad altri. Il nostro Paese deve cerca­re di realizzare le infrastrutture per attirare cer­velli, di qualsiasi nazionalità essi siano. Come disse un mio amico, uno scienziato italiano che lavora all’estero da diversi anni, il proble­ma reale non è il «rientro dei cervelli» ma «l’at­trazione dei cervelli». (..) Dobbiamo investire di più nella ricerca e colmare il divario con gli altri Paesi europei, anche e soprattutto nei mo­menti di crisi. Sarebbe un segno che il Paese crede realmente nel suo futuro.

Basterebbero piccoli segnali, come potreb­be essere la riduzione dell’Iva sugli acquisti ef­fettuati con fondi assegnati a progetti di ricer­ca. Questo renderebbe utilizzabili, immediata­mente, cospicue risorse per chi gode dei finan­ziamenti, servirebbe a premiare i più meritevo­li (chi ha più finanziamenti avrà anche maggio­ri risorse) ed andrebbe nel solco dell’attuale tendenza già recepita da diversi Paesi dell’Ue.


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