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Corriere-Intervista a Cofferati

Un solo leader per il nuovo Ulivo Il programma lo scrivano 20 saggi" Cofferati: bisogna coinvolgere anche no global, girotondisti e intellettuali La bocciatura del ticket: il problema va superato, ...

05/08/2002
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Corriere della sera

Un solo leader per il nuovo Ulivo Il programma lo scrivano 20 saggi"

Cofferati: bisogna coinvolgere anche no global, girotondisti e intellettuali La bocciatura del ticket: il problema va superato, è una vecchia formula

Allora, Cofferati, è un Ulivo "stile Cgil" quello che si è visto negli ultimi giorni nella battaglia parlamentare sul disegno di legge Cirami. Paga un'opposizione così dura? "Io penso di sì. Quello che lei chiama lo stile Cgil è, secondo me, l'atteggiamento coerente di un sindacato. La cui funzione non è assimilabile a quella delle forze politiche. I sindacati, con la contrattazione, puntano a migliorare le condizioni delle persone che rappresentano. Il negoziato e, possibilmente, l'intesa sono il nostro esercizio naturale. In questi mesi sono mancate le condizioni per fare accordi. Nel comportamento della Cgil c'è stata una grande e rigorosa linearità. Il sindacato deve mirare all'accordo ma non a un accordo purché sia. Forse questo porta ad assimilare il comportamento dell'Ulivo al nostro".
E' un atteggiamento di ferma determinazione. Un'opposizione che, appunto, lei ritiene appropriata al caso ma che forse non fa sempre bene al clima generale del Paese.
"Ci sono atteggiamenti validi sia per il sindacato sia per la politica. Ci si confronta avanzando controproposte solo in presenza di problemi reali, ma se non esiste una questione oggettiva o se vengono attaccati i diritti fondamentali come l'articolo 18 o norme della Costituzione, è indispensabile dire di "no". Troppe volte la politica oscilla nella ricerca, sbagliata, dell'alternativa in ogni caso perché la difesa dell'esistente viene considerata un atto di conservazione. Si tratta di un riflesso errato e pericoloso".
Vuol dire che finora l'Ulivo era stato troppo arrendevole?
"In alcune occasioni sì, a volte in passato si è accettata l'idea un po' astratta del confronto e dunque l'opposizione è stata fatta indicando o cercando mediazioni o alternative dove invece non era utile o ragionevole. Ad esempio credo sia stato un errore dare disponibilità al confronto per le riforme istituzionali ad un governo del tutto inaffidabile. Mi pare che negli ultimi tempi quelle che appaiono come contrapposizioni più aspre, null'altro siano che il ritorno a questa banale dialettica".
Come è stato anche evidenziato da un'indagine di Mannheimer pubblicata sul Corriere della Sera , un'opposizione più dura, che lei incarna, piace al grosso del centrosinistra, ma non allarga il consenso.
"Non misurerei mai la giustezza di una posizione sulla base di un ritorno a breve. Sia nella politica sia nei rapporti sociali. La lotta della Cgil per difendere ed estendere dei diritti fondamentali è apparsa inizialmente minoritaria, oggi invece coinvolge tantissime persone. Ovviamente il confronto deve essere sempre mirato al massimo di coerenza possibile. E intorno alle proprie posizioni bisogna sempre cercare di costruire il consenso per centrare il risultato. Se la mediazione fa perdere di vista il punto di partenza, snatura le posizioni, allora si perde: non si ferma l'iniziativa dell'avversario e si perde la propria identità. E non si mantiene il consenso originario. In politica, poi, quando si fa opposizione a dei provvedimenti gravi non bisogna mai ridurre il confronto al solo dibattito parlamentare. Occorre far vivere le proprie opinioni nella società con iniziative politiche mirate, efficaci e di massa".
Comunque, il problema è vincere. Allora, è meglio avere uno schieramento più vasto e meno compatto e duro, che possa essere maggioranza nel Paese, o più rigoroso ma minoritario?
"Non c'è dubbio: bisogna avere lo schieramento il più vasto possibile e vincere. Ma questo è il punto di arrivo. La partenza è come tenere uno schieramento largo e vincere. Oggi il primo problema da affrontare è quello del modello istituzionale: c'è un ritorno di voglia di proporzionale. E' un problema che, se non risolto, rischia di alterare ciò che viene dopo. Ho la sensazione che parte non piccola della rappresentanza politica viva nel sistema maggioritario comportandosi però come se ci fosse ancora il proporzionale, pensando che questa sia solo una fase di transizione. Penso che la soluzione più efficace per dare stabilità sia la definitiva scelta del maggioritario. Se si riafferma quindi l'assetto bipolare, gli schieramenti devono dotarsi di un progetto di medio e lungo periodo che poi diventa programma elettorale. L'opposizione deve fare uno sforzo straordinario per darsi questo progetto, avendo risolto il punto di partenza: maggioritario con assetto bipolare. Altrimenti la politica finisce con l'essere attratta dal breve periodo, ciò che meglio si presta al trasversalismo. Che è pericoloso".
Quindi, prima il programma e poi la leadership.
"Sì. Oggi ci sono forze politiche che sono state insieme e poi si sono diversamente articolate e c'è una sinistra radicale che ha partecipato a un'ipotesi elettorale ma non ha mai scelto di unirsi. Rifondazione Comunista conferma che questa è la sua scelta. Legittima. Quel partito ha un suo progetto, diverso. Gli altri, preso atto di questo, devono darsi un loro programma. I programmi poi, in vista delle elezioni, si confronteranno per trovare un punto di contatto. Inutile attardarsi nell'ipotesi irrealistica di avere un solo progetto".
Cioè niente Grande Ulivo.
"Quando parlo, da cittadino elettore, del Grande Ulivo che auspico, do per scontato che Rifondazione mantenga la sua identità e la sua collocazione esterna. Ma tutti gli altri, da Di Pietro ai Comunisti Italiani, che hanno già partecipato a un'esperienza comune, hanno le condizioni e l'esigenza di provare a costruire oggi il Nuovo Ulivo".
Come costruire questo soggetto?
"Partendo dal progetto. Non è facile, ma non ci sono alternative. Occorre il contributo di un gruppo di persone autorevoli, venti sarebbero sufficienti. Persone rappresentative delle culture e delle sensibilità che sono storicamente individuate in questo arco di forze. Più è alto il profilo del tentativo e meglio si risolvono anche i problemi contingenti, quelli di oggi. E va fatto subito perché nel 2004 ci sono le elezioni europee, nel 2005 le amministrative e nel 2006 le politiche".
Che tipo di riformismo dovrebbe emergere da questo programma?
"Se si guarda all'Europa, ad esempio, credo si possa partire dal libro bianco di Jacques Delors elaborato dieci anni fa. L'idea dell'economia e della conoscenza come fondamento dell'assetto economico e sociale dell'Europa, alla quale dare contemporaneamente un assetto istituzionale. In pratica, una serie di scelte che sono l'opposto di quello che propongono le destre in Europa: l'idea di una crescita basata sulla riduzione o la distruzione di tutele e protezioni".
Torniamo al progetto preparato da questo "comitato di saggi" composto da 20 personalità dell'Ulivo.
"Un progetto che guardi all'Italia come parte dell'Europa. La nostra idea deve essere un'Europa sociale, che passa dalla porta stretta della moneta per darsi una Costituzione integrata dalla Carta dei Diritti e un modello sociale. Altro aspetto importante: nel costruire, per gradi, il programma bisogna che i promotori facciano un'altra scelta innovativa, cioè costruire un sistema di relazioni con soggetti diversi da quelli della rappresentanza politica. Penso ai soggetti che in questi mesi si sono - in un modo o nell'altro - affacciati alla ribalta: le associazioni dei no global, i girotondi, i movimenti di intellettuali. Si tratta di gruppi che partono da un'idea di trasformazione accompagnata a quella di conservazione di diritti e valori. E di cambiamenti e trasformazione delle modalità e delle forme con le quali rispettare e consolidare quei diritti e quei valori. Lo fanno in forma abbastanza inedita rispetto alla tradizione: sono soggetti, anche molto magmatici, che non si vogliono autorappresentare in politica. Anzi, chiedono alla politica che le loro istanze siano riassunte al meglio. E' un'occasione straordinaria, che la politica non deve perdere. Allora, nella costruzione di quel progetto, servono i contributi di tutti e si deve immaginare un sistema di relazioni basato sul reciproco rispetto e riconoscimento, senza strumentalizzazioni. La politica non deve sostituirsi a quelle forme o inglobarle o egemonizzarle. Solo così si costruirà una rete solida che, dal sistema della rappresentanza politica, si apra verso il sociale. Ritengo fondamentale la funzione dei partiti, ma la loro funzione storica va rivitalizzata".
A quel punto, si potrà parlare di leadership.
"Definito il progetto, occorrerà un gruppo ristretto di persone riconosciute - perché rappresentative delle molte sensibilità - per gestire il tutto. A quel punto si supererà anche quello che sembra oggi essere un problema che la vecchia formula si trascina: il ticket. Un programma giustifica, se di alto profilo e condiviso, una squadra e un leader".
Un leader, uno...
"Sì. Perché a quel punto è la condivisione del programma che legittima tutti coloro che vi hanno partecipato a poter rappresentare l'universo che si identifica in quel programma".
Un leader scelto con le primarie o come?
"Questo lo vedranno loro, importa poco a quel punto".
Cofferati che ruolo avrà? Che farà la Fondazione Di Vittorio, che lei andrà a dirigere quando lascerà la guida della Cgil?
"Un tema che merita più attenzione è quello del rapporto tra la rappresentanza politica e quella sociale in un sistema bipolare. L'esercizio della propria sovranità e della propria autonomia, in un sistema bipolare, ha caratteristiche e modalità del tutto diverse da quelle che aveva con il proporzionale. Quando ci saranno schieramenti contrapposti che si contendono il consenso elettorale, il sindacato dovrà misurare la propria idea di società con i loro programmi e non potrà fare riferimento alle scelte degli schieramenti a valle delle elezioni, come capitava nel proporzionale. Cambia la dinamica dei rapporti e solo un vero progetto, anche limitato ma definito, manterrà il sindacato autonomo dagli schieramenti. Non agnostico. Credo che la Fondazione potrà dare un contributo su tutto questo".
Questo la Fondazione, ma lei?
"Se si riferisce all'impegno politico, penso a forme diverse da quelle tradizionali. Ringrazio per l'attenzione, ma voglio allontanare l'idea di commistione tra politica e rappresentanza sociale, che viene agitata strumentalmente dal centrodestra. E anche se l'autonomia della Cgil è dimostrabile al di là di ciò che farà il suo segretario generale, non voglio dare anche un involontario contributo a chi dice che le cose che ho fatto in questi mesi le ho fatte pensando al mio futuro politico".


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