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Corriere:Innovazione, Italia cenerentola. Ricercatori, brevetti, creatività, investimenti: siamo nella fascia bassa della classifica europea

Insieme con la Spagna, il nostro Paese è il meno dinamico del Vecchio Continente. Meglio di noi Grecia e Cipro Le nazioni nordiche, con Germania, Svizzera e Inghilterra mantengono le performance migliori nonostante la crisi

07/03/2009
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Corriere della sera

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Ricercatori, brevetti, creatività, investimenti: siamo nella fascia bassa della classifica europea

Stabili nella negatività, potremmo definire le notizie poco confortanti che emergono dall'annuale rapporto EIS (European Innovation Scoreboard 2008) riguardanti il mondo italiano dell'innovazione. Il documento preparato dal Maastricht Economic and Social Research and Training Centre on Innovation and Technology (UNU-Merit) è frutto di un'elaborazione di numerose indagini condotte nelle varie nazioni (anche dal nostro Consiglio Nazionale delle Ricerche) ed è uno strumento di lavoro dell'Unione Europea perché fotografa la realtà, le capacità e le tendenze dei Paesi membri più Croazia, Turchia, Islanda, Norvegia e Svizzera, facendo un confronto con Stati Uniti e Giappone. Prendendo 29 indicatori che riguardano dai ricercatori impiegati, ai brevetti generati, agli scambi fra ricerca pubblica e privata, agli investimenti, alle società coinvolte e valutando pure, ad esempio, gli effetti economici generati e le aziende che hanno introdotto innovazioni, si è compilata una classifica che misura nel contempo le variazioni rispetto al passato. Ma per la prima volta si è inoltre tenuto conto della creatività interna alle industrie rivelatasi talvolta efficace nel produrre innovazione da risultati già ottenuti e acquisiti in passato.

La classifica divide le nazioni in quattro gruppi: Innovation leaders, Innovation followers, Moderate Innovators e Catching-up countries. Noi ci troviamo al ventiduesimo posto su 32, sull'ultimo gradino dei «moderati», alle spalle della Grecia e ben al di sotto della media europea. Dietro di noi c'è solo il gruppetto degli «inseguitori» guidato da Malta. Tra i moderati, che è bene ricordare comprendono Cipro, Estonia, Slovenia, Repubblica Ceca, Spagna, Portogallo, Grecia e Italia, i compilatori del rapporto segnalano il particolare trend a migliorare di Cipro e l'immobilità di Italia e Spagna. Per il nostro Paese si sottolinea qualche segno di tenue miglioramento rispetto al passato nel supporto finanziario e in qualche limitato effetto economico ma contemporaneamente si evidenzia la forte debolezza nella risorse umane, negli investimenti delle aziende e nei collegamenti tra ricerca e attività imprenditoriale. Non bastano, insomma, per produrre cambiamenti gli aumenti negli ultimi cinque anni dei laureati (più 8,8 per cento), dei dottorati (più 22,7 per cento) oppure l'accesso alla banda larga da parte delle industrie (più 18,6 per cento). «Le performance degli investimenti industriali non sono migliorati — si nota — e quelle degli effetti economici dell'innovazione sono peggiorati ».

A livello europeo, se i campioni in classifica restano più o meno sempre gli stessi (Danimarca, Finlandia, Germania, Svezia, Svizzera e Gran Bretagna), complessivamente c'è un progresso nei cervelli impiegati, negli investimenti del venture capital e nell'utilizzo della banda larga, testimone concreto di un'attività in crescita. Restano sempre, anche se tende a ridursi lievemente, le differenze negative (il gap) rispetto agli Stati Uniti e al Giappone. Ed è bene ricordare in proposito che tra il sostegno finanziario straordinario garantito dal presidente Obama per risollevare l'economia americana ci sono forti investimenti dedicati alla ricerca.

«La radiografia del rapporto è impietosa ma reale — dice Roberto Cingolani direttore dell'Istituto Italiano di Tecnologia — ed è la conseguenza di una situazione culturale ricerca-impresa che negli ultimi vent'anni si è chiusa su se stessa. Persino la Grecia rivela un trend positivo mentre il nostro si mostra saldamente negativo. Ci immaginiamo avanzati solo perché l'Italia ha il più alto numero di cellulari ma dimentichiamo che, nonostante il numero elevato, abbiamo il loro più basso utilizzo internazionale per la trasmissione di informazioni utili: in altri paesi si impiega come un vero terminale mentre noi ci limitiamo all'uso per la chiacchera. I problemi — aggiunge Cingolani — sono quelli noti e mai affrontati e risolti. A parte le infrastrutture e la finanza carenti, non esistono standard europei di selezione della ricerca e di valutazione dei risultati, sono protagonisti troppi organismi e una burocrazia paralizzante e ciò non crea le condizioni di responsabilità che un ricercatore deve avere. Tutto da noi è intoccabile. Le sacche di eccellenza presenti qua è la come alcune piccole aziende, ad esempio Ferrari e Ducati, non essendoci una valutazione precisa su che cosa si vuol fare e dove si intende andare, le sacche non si estendono. Infine, si scoraggia il vivaio, per dirla in termini sportivi, cioè si fa di tutto per allontanare i giovani dal fare ricerca mentre si dovrebbe cominciare ad educarli a questa visione a partire già dai sei anni».

«Uno dei nostri mali più gravi è la scarsità degli investimenti d'impresa — nota Luigi Paganetto, presidente dell'Enea — e gli unici settori in cui si continua a manifestare un risultato è dove esiste, come per le macchine utensili, una tradizione anche nei consumi. Nelle biotecnologie, nelle nanotecnologie o nelle tecnologie energetiche manca innovazione anche perché non c'è il trascinamento da parte di piccole e medie aziende. In Italia non c'è tradizione nei settori nuovi che oggi governano il cambiamento, ma per crearla bisogna individuare delle applicazioni da immettere nei processi produttivi. Da queste poi arriveranno altri e continui stimoli all'innovazione. Nella Penisola non esiste una struttura industriale in grado di generare innovazione indipendentemente dai risultati applicativi e c'è inoltre una bassa capacità di interagire con enti e università».

Giovanni Caprara


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