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Corriere: «Il taglio dell'Ici dimostra che il governo pensa già alle elezioni

intervista a Guglielmo Epifani

01/04/2007
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Corriere della sera

ROMA - Da quando Romano Prodi si presentò al congresso della Cgil proclamando «Il vostro programma è il mio programma» sembra passato un secolo. In mezzo c'è stata una Finanziaria complicata, poi la crisi di governo, le difficoltà crescenti delle maggioranza, anche i contrasti nei Ds per la nascita del Partito democratico. E ora, dopo che la trattativa con il governo e le imprese sull'economia e il welfare si sta faticosamente avviando, ecco aprirsi un nuovo fronte elettorale. Che preoccupa, e non poco, Guglielmo Epifani. Il segretario generale della Cgil dice di comprendere «che ci sono le elezioni amministrative alle porte». E che per questo «un esecutivo in difficoltà possa pensare a scelte di breve respiro» per recuperare consensi. Epifani si riferisce al taglio dell'Ici e al rinvio della tassazione delle rendite finanziarie, che non condivide.
Lo sa che le amministrative rischiano di essere politicamente decisive per Prodi?
«La mia è una constatazione oggettiva. La fragilità numerica della maggioranza spinge il governo a fare campagne tattiche. Ma con quelle scelte si corre il rischio di escludere i redditi da lavoro dipendente e da pensione. Sottolineo pure, come hanno dimostrato i dati dell'istituto Cattaneo, che Prodi ha avuto una maggioranza di voti da lavoratori e pensionati».
Venerdì lei ha detto: "Avrei preferito che quella frase (il vostro programma è il mio programma, ndr), fosse stata meno forte e i risultati più concreti e coerenti". Qual è il vostro rammarico?
«Formalmente si è voltata pagina rispetto al governo precedente. Quello ha diviso il sindacato, questi lo unisce. Quello favoriva i redditi alti e l'evasione, questo è partito correttamente combattendo l'evasione. Quello ha favorito la precarietà del lavoro, questo la sta correggendo. Ma la maggioranza è appesa a un filo al Senato. Nel governo spesso prevalgono tendenze centrifughe. Ciò impedisce una programmazione nelle scelte e lo costringe a vivere in uno stato di necessità giorno dopo giorno».
La situazione del Senato era nota fin dal primo giorno. Che cosa è cambiato da allora?
«I problemi che ora si devono affrontare richiedono un respiro più ampio. Altrimenti si corre il rischio di non risolverli».
Concretamente?
«In questi cinque anni i salari italiani sono cresciuti meno che in altri Paesi. Con la Finanziaria si è fatta un'operazione, che noi abbiamo condiviso, di sostegno alle famiglie. Ma poi l'aumento delle addizionali locali si è mangiato in parte il beneficio. Mettere adesso mano all'Ici e rinviare l'armonizzazione delle rendite finanziarie sarebbe il segno che non si vuole affrontare il tema del reddito dei lavoratori e dei pensionati».
Promettendo l'abolizione dell'Ici Silvio Berlusconi ha quasi vinto le elezioni, ricorda?
«Appunto. E perché si fa l'operazione sull'Ici? Perché ci sono le elezioni amministrative alle porte. Capisco che un governo in difficoltà possa pensare a questo ma se invece si vuole governare con una prospettiva più ampia, dico che si deve partire dai lavoratori e dai pensionati».
Non crede che le difficoltà politiche della maggioranza abbiano fatto saltare tutti gli schemi? Ora c'è chi pensa di andare avanti appoggiandosi di volta in volta all'Udc o magari alla Lega.
«Ho alzato i toni perché lungo una strada poco rigorosa nel merito, invece di incontrare il sindacato si può aprire un problema con il sindacato e con chi il sindacato rappresenta. Perché nei luoghi di lavoro e tra i sindacati c'è tanto malessere sociale? In più se si fa l'operazione sull'Ici e sulle rendite finanziarie il tesoretto di cui si parlava non c'è più. Adesso stiamo aprendo tre tavoli su sviluppo, welfare e lavoro e riforma della pubblica amministrazione. Il governo come si prepara a questo? C'è bisogno di avere idee chiare e collegialità».
Non è sufficiente il documento collegiale che vi ha sottoposto Prodi a palazzo Chigi?
«Le parole di Prodi sono condivisibili, tranne la parte sulla previdenza. Ma quando si dovrà passare scendere ai fatti che cosa accadrà? Su ambiene infrastrutture il governo è in grado di arrivare a un punto di vista omogeneo? Ed è solo un caso. Inoltre, se i tavoli decollano, quando e come sarà possibile capire in che modo si finanziano le scelte? Perché se non sbaglio i miei conti, per tutte le priorità servirebbero intorno ai 10 miliardi».
Come arriva a questa somma?
«Ci vogliono almeno due miliardi per gli investimenti essenziali, almeno un miliardo e mezzo per gli ammortizzatori, mezzo miliardo per la manutenzione previdenziale, non meno di due miliardi per le pensioni più basse, un altro paio di miliardi per il contratto del pubblico impiego, poi c'è la ricerca e l'innovazione. Per questo dico se il tesoretto scompare ancora prima che si formi, i tavoli possono andare avanti ma inesorabilmente si arriva al punto in cui, a giugno, bisogna decidere».
Sento nelle sue parole una vena di scetticismo.
«Scetticismo? No. Vedo uno scarto fra l'importanza dei tavoli e la volontà di farli diventare tali. La mia vera preoccupazione è che siano tavoli in cui ci si prova a confrontare mentre poi le scelte vengono prese altrove».
Insomma, quella che in napoletano si chiamerebbe un' ammuina.
«Non dico questo. Ma il confronto sta partendo adesso, con Pasqua alle porte, ed entro giugno dev'essere definito. In pratica abbiamo soltanto otto o dieci settimane di lavoro».
Un problema almeno sembra risolto: Nicolais dice che troverà i soldi per i contratti pubblici.
«Non bastano le parole, ci vogliono i fatti. Anche perché se non si fanno i contratti e non si sta agli impegni è difficile parlare di riforma. Ma per quanto riguarda i contratti non bisogna dimenticare che sono quasi tutti in scadenza. Si stanno preparando le piattaforme e c'è una spinta salariale evidente».
Riparte la stagione delle rivendicazioni economiche?
«I bilanci sono molto positivi. Le banche non hanno mai guadagnato tanto. Eni ed Enel hanno utili record, anche le imprese manifatturiere, a cominciare dalla Fiat, vanno bene. Fortunatamente».
Per Montezemolo le imprese non possono accettare l'accusa di avere la pancia piena.
«Quando c'è la ripresa e i conti sono buoni le imprese non possono sottrarsi a fare la loro parte per sostenere i salari. Non possono essere ingorde».
Ancora. Il presidente della Confindustria insiste che la legge Biagi sulla flessibilità del lavoro non si tocca e che anzi va completata.
«Si è a lungo lavorato con la Finanziaria per ridurre l'area della precarietà, aumentando i contributi e dando più diritti alle forme di lavoro atipico. Ora nel confronto con governo e le imprese bisogna rivedere la legge sul contratto a termine, perché si abusa troppo dei contratti a tempo determinato e invece c'è bisogno di ricondurla a una disciplina più rigorosa. D'altra parte anche una parte delle imprese si accorge oggi che avere molta precarietà è controproducente. Su questo ci sarà un punto di confronto non facile ai tavoli».
Anche il sindacato ha i suoi problemi interni. Parte della classe dirigente della Cgil è vicina alla mozione Mussi, leader del Correntone Ds contrario al Partito democratico e in odore di scissione. Non lo considera un fatto preoccupante?
«Nella Cgil non c'è un orientamento collettivo, ognuno sceglie per sé come collocarsi. E' assolutamente fisiologico. E' sempre stato così e sempre sarà così. Ma è fuori discussione che questo non può rappresentare un problema per l'autonomia della Cgil».


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