Corriere: Il rientro del cervello mongolo
Il progetto «Rientro dei Cervelli» per riportare in Italia i giovani genii espatriati si chiude domani con un trionfo: dalla mongola Ulaanbaatar, ad esempio, è tornato un sessantenne che non se n'era mai andato da Trieste
di Gian Antonio Stella
Il rimpatriato adesso ha la cattedra all'università di Macerata. Si chiama Aldo Colleoni e il suo percorso accademico, che secondo l'ateneo marchigiano è formalmente ineccepibile, merita di essere raccontato.
Il punto di partenza, va da sé, è il problema annoso della fuga dei cervelli. Tema non nuovissimo. Basti pensare, in tempi meno recenti, a uomini come Filippo Mazzei (l'illuminista fiorentino costretto a fuggire in America, amico di Thomas Jefferson e ispiratore di un pezzo della dichiarazione d'indipendenza americana), Lorenzo Da Ponte (il librettista di Mozart) o Enrico Fermi, padre dell'energia atomica. O in anni più vicini, per citarne solo due, l'inventore del micro-chip Federico Faggin o il direttore delle ricerche del Sloan Kettering di New York Pier Paolo Pandolfi. Una fuga collettiva non solo malinconica per chi se ne va, ma dannosa per il Paese. Con un costo annuo che qualche esperto ha stimato in otto miliardi di euro l'anno. Una esagerazione? Forse. Ma certo i contraccolpi dell'esodo sono forti. E via via che tanti studiosi giovani se ne vanno, scoraggiati da un sistema universitario in cui i docenti ordinari con meno di 35 anni sono 9 su 18.651 e i direttori di istituto del Cnr hanno in maggioranza più di 63 anni, il problema si acuisce. Da qui, sette anni fa, era nata l'idea di un progetto chiamato appunto «Rientro dei Cervelli». Che prevedeva, col decreto ministeriale numero 13 del 21 gennaio 2001, uno stanziamento iniziale di tre milioni di euro coi quali lo Stato si faceva carico del 95% dello stipendio degli scienziati sparsi per il mondo che avessero accettato di tornare in Italia per inserirsi nelle nostre università. Con la prospettiva di un rientro definitivo. Prospettiva niente affatto vaga. E confermata anno dopo anno dai vari «aggiornamenti» della legge, alla faccia di ogni scetticismo.
Diceva ad esempio un comunicato di Letizia Moratti del 10 maggio scorso che «in riferimento alle allarmistiche notizie di stampa e d'agenzia sul presunto blocco dell'operazione "Rientro dei cervelli" in Italia», il ministero ci teneva a far sapere che nel 2006 era stata «data priorità alla stabilizzazione» dei giovani rientrati. Tanto è vero, proseguiva il documento, che il ministero aveva messo a disposizione altri «tre milioni di euro per consentire alle singole università chiamate dirette degli studiosi che avevano già usufruito dei provvedimenti per il rientro dei cervelli». Chiaro?
Come sia andata a finire lo abbiamo già scritto: al momento di arruolare in via definitiva gli studiosi rientrati (tra i quali c'erano forse dei figli di papà finanziati dalla famiglia nella loro esperienza all'estero, forse qualche somaro raccomandato ma certamente anche qualche fuoriclasse che per tornare aveva lasciato posti di assoluto prestigio) la congrega accademica si è chiusa a riccio. Al punto che il sito dei ricercatori invogliati al rientro ( https://www.webalice.it/mvendruscolo/index.html)
gronda di amarezza, delusione, rabbia. Possibile che su 499 persone convinte a tornare e a giocarsela nel sistema universitario italiano con la sottintesa promessa che non sarebbero stati stritolati tra i giochetti di bottega e di potere, ci fossero solo poche decine di giovani (il numero non è ancora ufficiale: c'è chi dice 33, chi dice solo una decina e i tempi scadono domani) considerati all'altezza di un pianeta che oggi, tra ordinari e associati e ricercatori, occupa sessantamila docenti?
Il fatto è che il Cun (cioè il Consiglio Universitario Nazionale, l'organo elettivo di rappresentanza delle autonomie universitarie), secondo i giovani segati ma anche secondo buona parte degli uomini di scienza insofferenti alle antiche baronie, ha espresso le sue valutazioni in maniera meccanica: per avere la cattedra di «tipo XB» dovevi avere un incarico «equipollente» (parola rococò adorata dai vecchi tromboni) da un'altra parte. Chiunque capisca di calcio sa che è meglio essere il centravanti di riserva del Real Madrid che il titolare del Bettola Football Club. Chiunque capisca di lirica sa che è meglio stare nel coro della Scala che essere il tenore del teatro d'opera di Serracapriola. Ma lì, al Cun, no: contano i timbri. Se sei ordinario in un ateneo del Kamchakta passi, se sei il più geniale rampollo emergente di Harvard no: e i timbri? Ed è così che, richiamandosi espressamente al decreto del 21 gennaio 2001 sul «rientro dei cervelli», l'università di Macerata ha votato una delibera per la chiamata diretta, senza uno straccio di concorso, di Aldo Colleoni. Chiamato a insegnare Geografia economico- politica e scelto per chiara fama dal rettore Roberto Sani che aveva avuto modo di apprezzarlo, ha scritto Il Secolo XIX, per certi «convegni di forte richiamo per il pubblico locale, come "Macerata- Mongolia, la sfida della globalizzazione"». L'età del giovanotto neoassunto è incoraggiante: sessant'anni. Ancora più interessante però è il nome del prestigioso ateneo al quale, stando al verbale dell'università marchigiana, lo abbiamo strappato. Stanford? Princeton? Yale? Berkeley? No: la Zokhiomj di Ulaanbaatar (Mongolia). Certo, a cercarla su internet, non c'è ma lui, il chiarissimo «Prof. Dr. Cav. Aldo Colleoni» (così si presenta sul sito in cui troneggia come Console Onorario della Mongolia insieme con «la consorte, sig.ra Paola Alzetta Colleoni») ci rasserena: «Esiste, esiste. Le assicuro che c'è. Ci insegna anche l'ambasciatore». E quando ci va? «Ci andavo a periodi. Ora non più».
Sia chiaro: il punto non è la competenza. Sulla Mongolia, della quale si innamorò dopo i fuochi giovanili sessantottini, Colleoni sa molto. Ha cominciato ad andarci, spiega, nel 1975, «dopo la prima laurea, o dopo la seconda». Sul Paese di Gengis Khan ha scritto una guida turistica, una raccolta di poesie, un manuale di economia. Ha portato a Trieste ministri e autorità mongole e in Mongolia autorità e imprenditori triestini. Rappresenta da anni il grande stato delle steppe in Italia ed è riuscito addirittura a far firmare un protocollo d'intesa in base al quale la città di San Giusto ospiterà un Registro Navale e (udite udite) una flotta di navi mongole. Il che, per un Paese piantato in mezzo all'Asia a oltre un migliaio di chilometri dal mare più vicino, equivale a una scommessa da capogiro. Insomma, diamo pure per scontato che il neodocente, sul suo, sia ferratissimo. Ma la domanda è un'altra: serviva a questo, la legge sul rientro dei cervelli? A riportare in Italia un anziano signore che, tra un viaggio e l'altro, ha sempre vissuto a Trieste?