Corriere-IL PAESE DEI FILOLOGI (BOCCIATI)
Studiare meglio: ma come? IL PAESE DEI FILOLOGI (BOCCIATI) Ci sarà pure una ragione se l'Italia, prima al mondo nella sapienza filologica, da Pio Rajna a Gianfranco Contini, da Vitto...
Studiare meglio: ma come?
IL PAESE DEI FILOLOGI (BOCCIATI)
Ci sarà pure una ragione se l'Italia, prima al mondo nella sapienza filologica, da Pio Rajna a Gianfranco Contini, da Vittore Branca a Cesare Segre, nella classifica del sistema scolastico europeo è collocata invece dall'Ocse al venticinquesimo posto per le competenze dei suoi studenti in "lettura", intesa proprio come capacità "filologica" di interpretazione dei testi. Ci sarà altrettanta ragione se la stessa Italia, patria della logica e della matematica, Paese di Fibonacci, di Tartaglia e di Galileo, terra sovrana di un Rinascimento di numeri e di calcolo, peggiora in aritmetica di un ulteriore punto, scivolando al posto numero 26. Sono cifre consolidate nella discesa: già nel 2000 eravamo ventesimi in "lettura" e ventitreesimi in matematica. Una volta tanto è impossibile dare la colpa alla riforma e alla Moratti. Caso mai si può concludere che per competere in Europa molte cose devono essere riformate, tanto nel metodo di studio quanto nella strategia di insegnamento. "L'omologazione al nulla", come l'ha definita su Avvenire il sociologo Ulderico Bernardi, è l'esito di due errori: insufficiente motivazione sociale fornita ai giovani e ritardo nella formazione dei formatori. L'inadeguatezza politica a investire nella riqualificazione anche della docenza favorisce il progressivo allargarsi della povertà pedagogica.
Condivido la drastica analisi di Giuseppe De Rita: per recuperare posizioni nel continente "bisogna ricominciare dall'abc, perché attualmente produciamo studenti generici".
Insegnare meglio e studiare davvero: l'accoppiata rischia di apparire uno slogan retorico e frettoloso ma in realtà è la polpa di cui rivestire la struttura riformata. Questa, senza crescita di competenze, si ridurrebbe a uno zombie, cui l'opposizione politica e sindacale non fatica a tirare sassate senza prendere responsabilità.
In nessun altro settore della produzione e della accumulazione di capitale (e qui parliamo di capitale umano) si pone così evidente l'imprevidenza di affrontare per decenni in maniera disordinata e superficiale il tema della assunzione, della preparazione, della retribuzione, dell'aggiornamento e della qualità di 880 mila addetti, quanti sono oggi i docenti a vario titolo. Trent'anni di rovinosa "politica del personale" (quanto è brutta l'espressione corrente, offensiva per maestri e professori), frutto della confusione dei ruoli fra sindacato e partiti, rendono ora azzardato aspettarsi una immediata inversione di tendenza nelle classifiche europee dell'abilità degli studenti italiani. Ma se non si comincia a operare realisticamente, fineremo all'ultimo posto.
C'è poi una deformazione di prospettiva nell'inquadramento che pubblicistica e leadership politica fanno, quando ragionano sullo stato della scuola. Il punto di vista resta inconsciamente liceo-centrico. Gran parte dell'argomentare nel bene e nel male si correla a quel che si sa (male) sugli studi liceali. I licei classici coprono meno del 9% della popolazione scolastica, quelli scientifici il 20, i licei artistici e gli istituti d'arte poco più del 3. Su 9 studenti del classico 6 e mezzo sono ragazze, che "rendono" più dei maschi, oggi elementi di lentezza nei ritmi dell'apprendimento in una classe comune.
Nel "portfolio" personale prescritto dalla riforma con due funzioni, una formativa e una certificativa, ci sono notizie sulla carriera scolastica, dati sulle competenze disciplina per disciplina, documentazioni dei lavori significativi, perfino considerazioni di autovalutazione. Insomma questo dossier ambisce a essere il nuovo passaporto di ciascun giovane verso l'Europa. Proprio adesso, un po' faticosamente, questo documento viene introdotto nelle scuole al posto dell'ormai inutile pagella. Nelle pagelle fino a ieri, nei "portfolio" da domani, le ragazze precedono i ragazzi. Il che è una buona notizia di civiltà. Ma a sua volta sollecita una accelerazione della effettiva parità fra i due sessi nel mondo del lavoro.
di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI