Corriere: Il fannullone, l'impreparato, l'ansiosa «La colpa? Degli studenti, non nostra»
Faccio le stesse cose di un tempo, sono i ragazzi ad essere diventati diversi Non riesco a capire perché non mi seguono più Tre casi (non limite) di insegnanti raccontati dai verbali degli ispettori
Marco Imarisio
IL CROLLO DOPO 15 ANNI IN CATTEDRA
Tre casi (non limite) di insegnanti raccontati dai verbali degli ispettori
I problemi della scuola visti dalla parte degli insegnanti che non insegnano Sono le storie che emergono dai verbali degli «Affari interni» del ministero dell'Istruzione Tre casi-simbolo, in rappresentanza di tanti altri
A leggere le relazioni degli ispettori ci si sente quasi colpevoli. Come chi guarda dal buco della serratura un professore, e la sua classe. Magari sepolta sotto un lessico burocratico, ma nei verbali degli «Affari interni» del ministero della Pubblica Istruzione scorre un pezzo di vita vera della scuola, quello meno bello. La fatica quotidiana, l'autostima in picchiata degli insegnanti, il loro malessere, e in alcuni casi una buona dose di cialtroneria. Ci si può sentire male, nell'assistere al calvario personale della professoressa C. che insiste nel negare la sua incapacità di adattarsi a una realtà «che non è più come quando avevo cominciato». Si può provare rabbia davanti all'ostentato menefreghismo del suo collega R. che spezzetta le proprie assenze per impedire la nomina di un supplente e manda la sua classe al macello nell'anno della maturità.
Sono documenti che dicono molto, tranne della propria utilità. A scuola, le punizioni e i provvedimenti sono spesso virtuali. Se l'interessato fa ricorso, e lo fa quasi sempre, si riparte da capo. Comunque, funziona così: un preside riceve le lamentele di studenti, genitori o colleghi. Se non trova altre soluzioni, chiama l'Ufficio scolastico provinciale, il quale esamina il caso e inoltra la richiesta di ispezione all'Ufficio scolastico regionale che manda un suo esperto. La «verifica ispettiva» e il suo esito compiono il percorso inverso, fino a essere notificati al diretto interessato. Dopo le sue controdeduzioni, il primo grado di giudizio spetta al Consiglio provinciale di disciplina, ma in caso (frequentissimo) di ricorso la pratica finisce a Roma, alla Sezione disciplinare del Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, che essendo anche organo di tutela sindacale per sua natura è portato a troncare, sopire. Tempo medio dall'arrivo degli ispettori alla decisione definitiva: un anno e mezzo. Durante il quale il docente sotto osservazione continua a insegnare. Quelle che seguono sono storie che nella loro essenzialità riassumono alcune patologie della scuola d'oggi. Si è ovviamente scelto di mantenere l'anonimato su persone e luoghi.
Il disagio della prof
Era una come tante. Da quindici anni insegnava nello stesso Istituto, mai nessuna lamentela sul suo conto. Nell'ottobre
del 2004 la professoressa C. incomincia a sentirsi perseguitata dai colleghi. «Mi hanno emarginato» dice all'ispettore. I suoi studenti non hanno pietà. La vedono in difficoltà e iniziano ad approfittarne. La dileggiano, le ridono in faccia, la sfottono per l'aspetto trasandato. Comincia ad accumulare assenze su assenze, una docente che negli anni precedenti aveva fatto solo quattro giorni di malattia. È entrata in una spirale negativa «nella quale — scrive l'ispettore — la qualità didattica decade rapidamente in ogni suo aspetto». Nei primi due colloqui, la professoressa C. «tende a rifiutare questa sua immagine». Nega che vi siano problemi, sostiene che è tutto normale. Solo al termine dell'ultimo incontro chiede che venga verbalizzata una sua «dichiarazione difensiva». Questa: «Io ho sempre insegnato. Faccio le stesse cose di un tempo. Sono i ragazzi che sono diventati diversi. Non riesco più a capirli, e non capisco perché non mi seguono». In un nuovo incontro la professoressa C. comincia a parlare di quello che l'ispettore definisce «un disagio intervenuto». Soffre di ansia, la sola idea di uscire di casa ed entrare in classe «provoca sconforto morale e fisico». Lentamente, «accetta la procedura». Si sottopone ad una visita medico-collegiale. L'inidoneità all'insegnamento arriva come una liberazione.
«Alza la voce». Gli studenti urlano al professor G. di farsi almeno sentire. Quattro mesi dopo, non fanno più nemmeno quello. Nelle sue ore, quando lui entra, loro escono. L'insegnante soffre di «incapacità didattica conclamata» secondo l'ispettore. «La sua conoscenza della materia si è totalmente diradata nel tempo». L'inviato del ministero assiste alle lezioni del professor G. e capisce che il problema non è solo nella sopraggiunta ignoranza di una materia studiata vent'anni prima. «L'incapacità professionale è dovuta anche a una situazione di scarsa autostima che si riflette in una bassissima immagine di sé». L'insegnante fa lezione con tono di voce sommesso, rigido, le mani abbandonate lungo i fianchi, rivolgendo le spalle agli studenti. Nel colloquio con l'ispettore non riconosce il problema. Agli studenti, che gli chiedono di spiegare argomenti che loro, da soli, riconoscono come importanti, contrappone un rifiuto netto. «Stessero attenti, imparerebbero. Io spiego, e a chi non segue metto un 2 sul registro» è la sua tesi. Nell'atteggiamento «di totale chiusura del professor G., che gli consente di frapporre un muro tra sé e gli altri», l'ispettore rileva come all'insegnante «manchi del tutto la coscienza della funzione di apprendimento degli studenti». Viene formulata una richiesta di «dispensa dal servizio», ovvero l'assegnazione «ad altro incarico». Il professor G. fa ricorso. Viene decisa un'altra ispezione.
«Il professor R. dimostra una compiaciuta e totale inosservanza dei più banali obblighi di servizio». A questa realtà «indiscussa da colleghi, dirigenti superiori e alunni» oppone uno «stato di permanente e strumentale aggressività, all'interno del quale ogni pretesto risulta utile per creare conflitto e tensione all'interno dell'Istituto». Il professor R. «non conosce il programma e non gli importa di conoscerlo». In classe, legge il giornale. Il professor R. ha altri interessi. Insegnando in un Istituto serale, di giorno esercita una seconda professione «non autorizzata». Le assenze sono comunque numerose, e non c'è mai preavviso. Visto l'orario delle lezioni, «risulta estremamente difficile reperire supplenti». E comunque, il professor R. non lo consentirebbe mai. «Nel mese di novembre e dicembre del presente anno scolastico, la scuola ha dovuto fare fronte ad un periodo di assenza per malattia del professor R. che si è protratto per un totale di 42 giorni, senza essere stata messa dall'interessato nelle condizioni di poter nominare un docente supplente, a causa del fatto che il prof R. non ha presentato un'unica richiesta di giustificazione dell'assenza, ma al contrario l'ha segmentata in quattro diversi periodi, ogni volta facendo pervenire alla scadenza di ognuno un nuovo certificato medico. Un'incuria che ha fatto sì che per i suoi studenti vi sia stato di fatto un mese di interruzione dell'anno scolastico». Lo sbarramento difensivo del professor R. consiste in una serie di denunce a carico di preside e vicepreside, al ritmo di due a settimana. Al colloquio, il professor R. sostiene che i suoi alunni «sono bestie che meritano il mio disprezzo». L'ispettore la pensa diversamente: «Studenti lavoratori che dedicano, anche con fatica, parti non irrilevanti del proprio tempo alla frequenza di un corso di studi, le cui aspettative di apprendimento in discipline di primaria importanza sono state regolarmente frustrate e le conseguenze sono risultate evidenti in sede di Esami conclusivi». Quando c'è, il professor R. si fa notare. All'uscita da scuola ha aggredito il suo vicepreside, ed è quasi venuto alle mani con alcuni dei suoi studenti inferociti. Conclude l'ispettore: «In un contesto individuale segnato da negligenza, menefreghismo ed arroganza, il professor R. nulla ha dell'educatore». In prima istanza, viene chiesto il trasferimento a un corso diurno e non serale. Dopo corsi e ricorsi, viene invece deciso il «monitoraggio» del professor R. per la durata di un anno.