Gian Antonio Stella
H onoré de Balzac magari esagerava quando diceva che «la tanto bramata fama è quasi sempre una prostituta incoronata». Ma certo il concetto di «chiara fama» non è mai stato tanto oscuro. Almeno nell'università italiana. Lo dicono i dettagli sempre più sconcertanti che emergono dal caso dell' «Eccellentissimo professor» Aldo Colleoni, fatto rientrare dalla Mongolia in Italia, da dove non s'era mai stabilmente allontanato, grazie alla legge sul rientro dei cervelli. Ma più ancora il confronto fra la sua vicenda e quella che ha visto parallelamente protagonista, con esiti sbalorditivi, lo storico Carlo Ginzburg.
Ricordate la storia, già raccontata anche dal Corriere?
Usando la legge varata per spingere al ritorno mezzo migliaio di giovani scienziati e ricercatori finiti a lavorare all'estero, l'Università di Macerata affida una cattedra a un giovane triestino sessantenne, Aldo Colleoni, che da anni va e viene dalla Mongolia, dove ha raffreddato nelle gelide steppe gli antichi bollori sessantottini. Dello stipendio, in base alla normativa citata, si farà carico per il 95% lo Stato. Secondo il rettore dell' ateneo marchigiano Roberto Sani, il primo a battersi fortissimamente per il nuovo acquisto, il neo-docente ha tutte le carte in regola. A partire dalla «idoneità accademica di pari livello conseguita all'estero in istituzioni di alta qualificazione». E dove l'ha guadagnato, questo pezzo di carta essenziale per i pignolissimi membri del Cun (il Consiglio Universitario Nazionale) per i quali è più importante essere docente ordinario a Campagnalupia che assistente ad Harvard? In Mongolia.
Lo dice un pezzo di carta con scritto sopra «University Zokhiomj» di Ulaanbaatar che certifica come Colleoni abbia insegnato lì «as ordinary regular teacher». E chi certifica (al di là delle sottigliezze sulla parola «ordinary» che in inglese non significa affatto «professore ordinario» come inteso da noi) che quel documento sia veritiero? Sempre lui, Colleoni, nella veste di Console Onorario di Mongolia a Trieste.
Ma non basta. Scava scava, e siamo alle puntate successive, il Secolo XIX trova la conferma ai sospetti: la «University Zokhiomj» non esiste. «Diamo lezioni di management, giornalismo, economia e arte», spiega al giornale una docente dell'istituto, «ma non siamo un' università». E salta fuori che l'ateneo di Macerata ci teneva tanto, a prendere Colleoni, che già prima aveva raggiunto una convenzione con una società che si impegnava a investire, su quella cattedra, la bellezza di 800 mila euro. Una società seria? Ma certo! Fondata con un capitale minimo dieci giorni dopo (dopo!) la firma dell'accordo.
Sulla faccenda, come sapete, il ministro Fabio Mussi ha aperto un'inchiesta. Finisca come finisca, è divertente confrontare il «caso Colleoni», come dicevamo, con quello di Carlo Ginzburg. Chi sia lo ricordano tre righe di Wikipedia: «ha studiato alla Normale di Pisa, quindi al Warburg Institute di Londra; ha insegnato Storia moderna all'Università di Bologna e poi nelle Università di Harvard, Yale e Princeton e University of California». Di più: è l'autore di una ventina di libri, alcuni dei quali celeberrimi come Il formaggio e i vermi.
Bene: per riconoscere la sua «chiara fama» e dare il via libera a Salvatore Settis che l'aveva chiamato a insegnare alla Normale, il Cun si prese due mesi di tempo e tre sedute. E alla fine sbloccò l'iter con l'astensione di due professori. Astensioni che con Colleoni non c'erano state.
L'«Eccellentissimo professore» ha raffreddato nelle gelide steppe gli antichi bollori del '68
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