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Corriere: E i docenti alla laurea si vestono da operai

Giovedì, ad ospitare l’inconsueta contestazione è stata la sessione di laurea della facoltà di Matematica dell’università di Padova

09/10/2010
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Corriere della sera

MILANO — L’album fotografico della laurea, per questi studenti padovani, sarà sicuramente degno degli annali. Al posto delle solite aule austere, dei professori «togati», delle formalità di prammatica, il cortile interrato della facoltà, una scrivania di legno chiaro un po’ in stile Ikea, la gente assiepata su scale e balconi. E soprattutto, loro: i docenti e i ricercatori, serissimi, con indosso giubbetti fosforescenti da operai. Che le modalità di protesta contro la riforma Gelmini stessero esplorando nuovi fronti creativi, era apparso con chiarezza nelle ultime settimane; di solito, però, striscioni e mise teatrali erano riservati a cortei e sit-in. Giovedì, invece, ad ospitare l’inconsueta contestazione è stata la sessione di laurea della facoltà di Matematica dell’università di Padova. Una ventina i neo-dottori che si sono visti riconoscere il nuovo titolo in un contesto perlomeno inusuale; l’unico a non indossare la pettorina colorata, il presidente della commissione di laurea, Giovanni Sambin. E proprio lui, il solo ad indossare la «toga» tradizionale, si è trovato a dover fronteggiare il dissenso di alcuni dei presenti: «È una pagliacciata che non serve a niente», ha ribattuto una donna dopo aver sentito le ragioni della protesta elencate dal professor Sambin. Altre tre signore, racconta il

Corriere del Veneto, l’hanno applaudita. Il docente ha offerto loro di confrontarsi al microfono, replicando: «Mi pare che in Italia siano altre le pagliacciate». Nulla da fare, il confronto non c’è stato, e la sessione è proseguita fino alla fine. Ma l’eco della protesta e dei mugugni di alcuni parenti è immediatamente giunta alle orecchie del preside di Scienze, Renato Bozio: «Non ero stato avvisato, l’iniziativa di tenere le lauree nel cortile è stata presa autonomamente dei colleghi di Matematica. Non ricordo proprio di aver autorizzato una simile trovata». E così, oltre al problema di come strutturare il piano didattico in tempi di protesta dei ricercatori — su cui, è bene ricordarlo, in Italia cade in media il 40% del carico didattico degli atenei — il preside si è trovato tra le mani anche la «patata bollente» di come comunicare la suddetta protesta, senza alienarsi studenti e genitori. «Il rischio è evidente — ha dichiarato Bozio —: in questo modo finiscono per colpire più gli aspetti folcloristici che i contenuti legittimi della contestazione». Pettorine addio?


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