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Corriere: Delbono, via all’operazione graffiti Crediti agli studenti «cancellatori»

Il neo primo cittadino di Bologna stanzia 180 mila euro per creare le «ronde con il pennello»

08/07/2009
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Corriere della sera

Il sindaco crea una commissione «artistica» per decidere quali salvare
DAL NOSTRO INVIATO
BOLOGNA — Guerra ai graffiti. Cercando di distinguere tra arte e imbrattamento. Guerra senza pie­tà contro scarabocchi, oscenità e vandalismi: al punto da mettere in campo ronde armate di pennello, commercianti sentinelle, arruola­bili perfino gli studenti nel ruolo di inflessibili cancellatori (con tan­to di ricompensa in crediti nel cur­riculum scolastico). Ma se l’opera ha un valore, se arricchisce un luo­go, se trasmette un determinato messaggio, allora no, merita di es­sere salvata e il suo autore, il wri­ter di turno, valorizzato.
Il neosindaco pd, Flavio Delbo­no, riparte da dove Sergio Coffera­ti, suo predecessore, si era ferma­to. Operazione-graffiti. Operazio­ne contenimento dei writer, che ormai dilagano all’ombra delle Due Torri.
Sono passati più di 15 anni da quando Dado, che ora ha 34 anni ed è uno dei graffitari più quotati della città, si presentò in Comune: «Mi autodenunciai — racconta — e chiesi un muro tutto per me: mi diedero un ponte...». Ora di ponti da dare non ce ne sono più. In compenso non si contano gli edifi­ci di pregio sfregiati da brutture. Romano Prodi, che dei 42 chilome­tri dei portici bolognesi conosce ogni mattonella, ha dato la linea, come si dice, un minuto dopo l’ele­zione a sindaco dell’ex allievo Del­bono: «Caro Flavio, adesso mettiti la tuta, prendi il pennello e comin­cia a tirar via i graffiti». Detto e fat­to: la prima delibera della primissi­ma riunione di giunta (14 luglio) sarà proprio dedicata a questo. I soldi sono pronti, così almeno as­sicurano: 180 mila euro. Le motiva­zioni fortissime: «Costruiremo una coalizione civica per ripulire la città» ha annunciato il vicesin­daco Claudio Merighi (al quale Del­bono ha affidato il comando delle operazioni), convinto di riuscire ad amalgamare in un’unica squa­dra commercianti e artigiani, stu­denti e volontari, writer coscien­ziosi ed esperti d’arte.
Bella scommessa, certo. Non in­feriore però a quella che peserà su Gianfranco Maraniello, che di pro­fessione fa il direttore del Mambo (il Museo d’arte moderna di Bolo­gna) e che dalla giunta Delbono ha ricevuto il non invidiabile compi­to di «periziare» i graffiti: in altre parole, compiere una sorta di istruttoria su tutti i murales del centro storico, divenendo di fatto arbitro unico della loro sopravvi­venza. «La cosa più importante — premette — è capire che questa non è una crociata contro i graffita­ri, ma un modo per arrivare ad un’idea condivisa dello spazio pub­blico: una sorta di buona educazio­ne al paesaggio». Facile a dirsi.
Già censire i vari graffiti non sa­rà semplice: «Confidiamo sulla col­laborazione dei writer più esperti, con alcuni dei quali abbiamo av­viato un dialogo da tempo: è an­che nel loro interesse» prosegue Maraniello. Ma il problema centra­le sarà individuare criteri certi in base ai quali stabili­re se un’opera meri­ta o no di essere sal­vata dalla pennella­ta del volontario di turno, evitando, se possibile, di infilar­si in dispute infini­te. «È una questio­ne di sensibilità, certo — prosegue il direttore del Mambo —. Vanno valutati i diversi aspetti del dise­gno: la memoria storica che c’è die­tro, il grado di com­patibilità con il contesto ambienta­le, il messaggio che trasmette, le modalità con le quali è stato realiz­zato. Una cosa pe­rò sicura: qualsiasi graffito, che costi­tuisca un’appropriazione indebita di spazio o una violenza, sarà im­mediatamente rimosso». I graffita­ri? Nascosti dietro a pseudonimi e tag, sprizzano scetticismo: «La no­stra è un’arte di nicchia, solo gen­te che se ne intende può valutarla. Siamo certi che il direttore del Mambo sia la persona giusta?...». E via a raccontare di quella volta che tirarono giù una casa dietro al­la stazione: «Peccato che su una pa­rete c’era il graffito di un writer americano, Fasedue, uno dei miti­ci della generazione del ’68...».


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