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Corriere: Colletta e appelli per la prof che punì il «bullo»

Oggi il verdetto. La mobilitazione dai Radicali ai Ds fino all'Udc: non va condannata

13/06/2007
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Corriere della sera

Oggi il verdetto. La mobilitazione dai Radicali ai Ds fino all'Udc: non va condannata

ROMA — Meglio una punizione d'altri tempi che la garanzia dell'impunità. Meglio provare a dare l'esempio, magari sbagliando la misura, che far finta di nulla. No, non è l'arringa che sarà letta oggi nell'aula del tribunale di Palermo, ma la convinzione che attraversa i palazzi della politica. E li attraversa in modo trasversale, ministro Fioroni compreso, perché sono in molti a pensare che quella professoressa è stata coraggiosa, non può essere condannata.
E che la sentenza attesa oggi ha un valore che va ben al di là del caso specifico.
L'episodio è quello finito sui giornali la settimana scorsa. Palermo, scuola media di un quartiere popolare. Una professoressa fa scrivere cento volte «Sono un deficiente» ad uno studente che aveva preso di mira un compagno: lo aveva insultato, gli aveva dato del gay, gli aveva impedito di entrare nel bagno dei maschi. Bullismo. La famiglia del ragazzo punito si ribella, denuncia l'insegnante e pretende un risarcimento di 25 mila euro. Il pm chiede due mesi di carcere per «abuso di mezzi di correzione». E se il giudice, oggi, dovesse accogliere la richiesta?
Come sempre, i Radicali scelgono la strada della provocazione. Antonio Bacchi — segretario dell'Associazione dei Radicali di Firenze intitolata ad Andrea Tamburi — propone una colletta a favore della professoressa finita sotto processo. «Si è assunta la responsabilità di difendere l'aggredito e punire l'aggressore» scrive Bacchi in una lettera spedita ai giornali e pubblicata ieri dal Foglio. «Certo, avrebbe potuto far scrivere "Mi sono comportato da deficiente", anziché "Sono un deficiente". Ma non è doveroso tutelare il diritto di apprendere all'occorrenza anche con una sanzione educativa?». La sottoscrizione (www.radicalifirenze.it) è partita solo ieri, non ci sono ancora dati sulla somma raccolta. Ma l'obiettivo vero è sollevare il caso. Ed è già stato raggiunto. Il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Fioroni, non si pronuncia sul processo ma fa capire bene come la pensa: «Certo, occorrono sempre saggezza e misura. Ma se quell'insegnante non avesse fatto niente di fronte al disagio di uno dei suoi allievi consentendo ad un ragazzo di continuare ad offendere il compagno, l'avrei ritenuta colpevole di una colpa peggiore: quella di aver girato la testa dall'altra parte a aver aderito alla logica del "me ne frego"». Per una volta non è una questione di destra o sinistra. Rocco Buttiglione usa quasi le stesse parole: «Tra un professore che interviene per affermare la dignità della persona magari sbagliando la misura — dice il senatore Udc — e una che si tira indietro e fa finta di nulla preferisco la prima». Secondo Buttiglione una sentenza di condanna «avrebbe effetti devastanti, spingerebbe tutti gli insegnanti a fuggire dalle loro responsabilità, eliminando ogni argine al bullismo e alla violenza nelle scuole».
Vittoria Franco — presidente della commissione Istruzione del Senato e coordinatrice delle donne Ds — ne fa una questione costituzionale: «Una condanna calpesterebbe il principio della libertà d'insegnamento». Anche lei dice che «gli atti di prepotenza vanno puniti» ma aggiunge una sfumatura diversa: «Fossi stata nei panni della professoressa avrei preferito una sanzione diversa, possibilmente educativa. Invece di fargli scrivere cento volte "sono un deficiente" gli avrei chiesto, non so, di fare un lavoro di gruppo, una ricerca. Ma intervenire è stato importante». Valentina Aprea (Forza Italia) ex sottosegretario all'Istruzione nel governo Berlusconi la pensa allo stesso modo: «Forse la scelta della punizione è stata infelice. Ma una condanna per la professoressa sarebbe pericolosissima: i bulli sarebbero incoraggiati nelle loro violenze sapendo che c'è chi punisce chi ha provato a fermarli». Analisi che non cambia nemmeno saltando da Forza Italia a Rifondazione. «Quello che rischiamo — dice Pietro Folena, presidente della commissione Cultura della Camera — è rovesciare la prospettiva. Il problema è il bullismo non quello che gli insegnanti provano a fare per fermarlo. Magari si possono trovare punizione più educative, ma finire in tribunale no, è un paradosso».


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