Corriere: Atenei di Francia in rivolta Studenti e prof contro Sarko
nuovo ’68 Nel mirino la riforma del sistema educativo voluta dall’Eliseo. Bloccate 51 università. Lezioni nei bar e all’aperto
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — Una volta era un mito. Della cultura e della rivoluzione studentesca, continuamente rievocato all’indomani di ogni nuova scintilla. Oggi è soprattutto un simbolo: della decadenza in cui stanno precipitando molte università del Paese e di una rivoluzione conservatrice che — dagli atenei agli ospedali, dalla burocrazia alle fabbriche — sta mettendo i bastoni fra le ruote ai propositi riformatori di Sarkozy. Parliamo della Sorbona, dove le domande d’iscrizione sono cadute del 25% rispetto all’anno scorso. Ma potremmo parlare di Tolone, paralizzata e al centro di una poco edificante inchiesta per traffico di diplomi a vantaggio di laureandi cinesi. O di molte altre università, da Tolosa a Nancy, da Bordeaux a Lille: occupate o paralizzate da settimane, costrette a rinviare le sessioni d’esame e, in alcuni casi, a mettere in discussione la validità dell’anno accademico. Secondo il coordinamento nazionale degli studenti, 51 atenei sono parzialmente o totalmente bloccati da scioperi del personale o assemblee permanenti.
La contestazione assume di volta in volta forme pittoresche o dure. La «ronda» di notte, davanti al municipio di Parigi, ha passato il traguardo delle mille ore e la sera del primo maggio si è spinta a una breve irruzione nell’edificio. Davanti al ministero dell’Educazione superiore c’è stato un lancio di scarpe, una riproposizione del famoso gesto di un giornalista iracheno contro Bush. Si tengono lezioni all’aperto, sui marciapiedi, in bar, stazioni e treni, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla giustezza della lotta.
Membri del governo e illustri accademici hanno lanciato l’allarme sul rischio del semestre bianco. Hélene Carrère d’Encausse, segretario dell’Acadèmie française, parla di «disastro per la reputazione dell’università francese all’estero. Molti studenti stranieri non vorranno iscriversi alle nostre università». Il segretario generale dell’Eliseo, Claude Gueant, denuncia l’azione di minoranze radicali e il fatto che la maggioranza degli studenti sia tenuta in ostaggio. In effetti, genitori e studenti cominciano a preoccuparsi per l’eventuale perdita dell’anno.
Ma, al di là dell’effettivo consenso, la protesta conferma un malessere profondo, al punto che per la prima volta si trovano dalla stessa parte della barricata studenti, ricercatori e professori e sul banco dell’accusa il progetto riformatore di tutto il sistema educativo lanciato dal presidente Sarkozy subito dopo la sua elezione, nell’estate del 2007.
In sintesi, un progetto articolato su tre livelli: autonomia delle università, con un investimento di cinque miliardi di euro e la creazione di dieci poli d’eccellenza per competere con le università anglosassoni; riforma dello statuto dei concorsi degli insegnanti- ricercatori e revisione dei criteri di formazione degli insegnanti anche nella scuola secondaria.
L’obbiettivo era il rilancio di un sistema che, nonostante premi Nobel e atenei d’eccellenza, ha perso molti punti nelle classifiche mondiali (il primo ateneo si piazza al quarantaduesimo posto), subisce un’importante emorragia di iscritti e rischia di trasformarsi in una fabbrica di disoccupati. Nonostante il più importante investimento finanziario degli ultimi decenni, il progetto di Sarkozy è stato respinto per i suoi contenuti efficientistici e «puramente economici » che hanno innescato la protesta del mondo accademico.
Come in molti altri ambiti, il governo ha fatto concessioni, ma non al punto di fare marcia indietro. «La riforma — sostiene Valerie Pecresse, la giovane ministra dell’insegnamento superiore e della ricerca — punta alla competitività internazionale degli atenei francesi e a garantire un futuro professionale agli studenti. Purtroppo anni di passività hanno minato la fiducia fra mondo universitario e potere politico». Dice Isabelle This Saint Janne, presidente del movimento «Salviamo la ricerca»: «La storia degli esami a rischio è un ricatto per screditare la protesta. È il ministro che deve accettare di ridiscutere una riforma che minaccia posti di lavoro, autonomia e qualità della ricerca pubblica. È tutto il mondo accademico che si sente colpito».