Corriere: «All’università barriere insormontabili Non abbiamo le stesse opportunità»
Cristiana Compagno, rettore dell’università di Udine
ROMA — «Sì, siamo davvero in poche a ricoprire il ruolo di rettore»: Cristiana Compagno, economista, è alla guida dell’università di Udine. È stata la prima in Italia ad arrivare a questo traguardo, raggiunto finora solo da quattro colleghe.
Solo il 2,4% dei rettori in Italia sono donne. Perché? Ci sono discriminazioni?
«Non credo che si tratti di discriminazioni in senso stretto. Io non mi sono mai sentita trattata o valutata diversamente da un collega uomo per il semplice fatto di essere donna».
E allora?
«Oggettivamente ci sono barriere quasi insormontabili all’inizio della carriera accademica».
Di che barriere parla?
«Le ricercatrici sono tantissime. In alcune facoltà e in alcuni dipartimenti ci sono più ricercatrici che ricercatori. Il problema viene dopo».
Cioè?
«La fase dell’avviamento e del consolidamento della carriera non si concilia con i tempi spesso richiesti alle donne per seguire la casa, accudire i figli o i genitori anziani. E molte, moltissime ricercatrici, non hanno scelta: si dividono fra il doppio lavoro, quello all’università e quello a casa. Solo che nel confronto con i colleghi uomini, a prescindere dalla preparazione, alla fine escono sconfitte perché hanno meno tempo per la ricerca, per le pubblicazioni, per frequentare corsi, per studiare. E quando vanno ai concorsi, si presentano con punteggi più bassi. Ma non vuol dire che siano meno preparate o meno brave ».
Quindi ci si ferma al primo step della carriera accademica? E’ così?
«Purtroppo spesso sì. Qualcuna ce la fa, ma è difficile. Già fra gli ordinari c’è la decimazione: le donne sono pochissime. Figuriamoci fra i rettori ».
Secondo il Censis, anche in facoltà «storicamente a forte prevalenza femminile (farmacia, psicologia, lettere) la percentuale di docenti ordinari è sempre molto sbilanciata a favore degli uomini»...
«E’ vero, perché non dipende dalla materia, ma dai meccanismi che controllano l’accesso alle carriere».
Lei diceva di non essersi mai sentita discriminata. Nemmeno agli inizi della carriera?
«Mai. Del resto la valutazione della ricerca risponde a criteri abbastanza oggettivi: le pubblicazioni per esempio hanno punteggi codificati. Certo, non escludo che possano esserci anche discriminazioni, ma il problema principale è che le donne hanno meno opportunità degli uomini ».
Che cosa fare?
«Il discorso è complesso perché il problema riguarda il posto di lavoro sicuramente, ma anche la casa e la famiglia».
Servono le «quote rosa» per garantire le presenze femminili?
«No, perché bisogna andare avanti per merito. Però alle donne devono essere date le stesse opportunità degli uomini».
Lei comunque è riuscita ad arrivare al top della carriera accademica. Come ha fatto?
«Sono stata tenace e fortunata. E le persone che ho vicino mi hanno aiutato».