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Corriere: All'asilo comandano i bimbi Il modello Reggio Emilia che conquista gli americani

Assemblee e attività di gruppo. Delegazioni da New York

08/10/2007
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Corriere della sera

DAL NOSTRO INVIATO
REGGIO EMILIA — Ti aspetti un'aula piena di banchi ordinati, e ti trovi di fronte a una credenza che sembra quella della nonna, legno scuro e piatti di porcellana. A pochi passi, su un tavolo in marmo grigio, tre paia di piccole mani impastano il pane con origano e rosmarino. La maestra osserva dall'altro lato dell'aula, vicino allo «schermo delle ombre»: un telo bianco inondato di luce, su cui far danzare le silhouette di foglie e pupazzi. Dalle scale — ogni gradino un numero, «i bambini dovevano spiegare ai loro "amici di penna" di Washington quanto fosse grande la scuola e hanno deciso di usarli come unità di misura», racconta l'educatrice Paola Barchi — filtrano le note di un album jazz.
Alla Villetta, uno dei 46 nidi e scuole dell'infanzia di Reggio Emilia, c'è un po' di tutto: una vasca con imbuti e contenitori di ogni tipo, sovrastata da un groviglio di tubi trasparenti; cassette della posta personalizzate, in cui lasciare messaggi per l'amico del cuore; in giardino, un «luna park degli uccellini» con spruzzi, girandole e fontane fatte di ombrelli. Entrare alla Villetta è un po' come mangiare un pezzo dei dolci magici di Alice, intrufolatasi nella tana del Bianconiglio: un morso, e si diventa piccolissimi. Solo di statura, però. Perché il mondo, intorno, non ha niente da invidiare — per serietà e fervore creativo — a quello degli adulti. I bimbi (qui ce ne sono 76, dai 3 ai 6 anni) lavorano in piccoli gruppi, ragionano, inventano; gli insegnanti ascoltano, collaborano, documentano. Ogni mattina, ore 9.15, assemblea di classe per decidere (insieme) il da farsi.
Poi, tutti all'inseguimento della propria fantasia.
Le scuole di Reggio Emilia seguono l'approccio elaborato a partire dagli anni '60 da Loris Malaguzzi: al centro non ci sono le discipline, ma il bambino, visto come soggetto attivo e pensante.
Trasversalità culturale e non sapere settoriale, progetto e non programmazione, processo e non solo prodotto. E al «Reggio approach», come lo chiamano all'estero, il New York Times ha recentemente dedicato un ampio reportage. Perché il metodo emiliano ha ormai conquistato la Grande Mela: una dozzina gli istituti che si rifanno ai suoi principi, 78 gli insegnanti che nel solo mese di marzo sono venuti a studiare questa eccellenza italiana. Si chiude così la parentesi aperta nel 1991 da Newsweek, che il 2 dicembre aveva dedicato la sua copertina alle «dieci scuole migliori del mondo »: tra queste, il sistema dei nidi e delle materne del capoluogo emiliano.
La vocazione internazionale, in realtà, fa parte del Dna del «modello» reggiano: se il primo asilo comunale è nato nel 1963, il primo convegno internazionale arriva già dopo tre anni, e nel decennio successivo le delegazioni (italiane e straniere) iniziano a confluire verso Reggio. «Loris Malaguzzi non ha mai creduto nell'isolamento», spiega Amelia Gambetti, tra le prime maestre ad abbracciare la sua «filosofia », e oggi consulente scambi internazionali di Reggio Children, il Centro internazionale per la difesa e la promozione dei diritti dei bambini. Dal 1994 al febbraio di quest'anno, in città sono arrivati 147 gruppi di studio: 18.100 partecipanti da 95 Paesi. In America Latina c'è l'associazione di scuole Red Solar; negli Usa, la North American Reggio Emilia Alliance; a Stoccolma, dal 1993, il Reggio Emilia Institutet. Per tutti, l'appuntamento è alla sede del Centro, ex area industriale delle Reggiane: archivio e laboratorio per pedagogisti, atelier (con «Raggio di Luce», in cui si gioca tra mille raggi colorati) e futura sede della 47?materna cittadina.
«Questa esperienza ha creato cittadini più consapevoli, per noi è un investimento sul futuro», spiega il sindaco Graziano Delrio. È la teoria della «comunità etica» dello psicologo Howard Gardner, che sulla Harvard Business Review
descrive così la peculiarità di Reggio: «I bambini sentono che la comunità si prende cura di loro; crescendo, restituiscono le attenzioni». Qui il 40% dei bimbi dagli 0 ai 3 anni è scolarizzato, contro una media nazionale del 9%; tra i 3 e i 6, si va oltre il 90%, grazie a un sistema «misto» di comunali e private. Il Comune investe il 16% del bilancio sui più piccoli, «ma c'è anche un ritorno economico, senza contare l'attrazione dei talenti ». Come, quest'anno, i 17 studenti del I?Master internazionale per coordinatore pedagogico dei servizi per l'infanzia. Che si aggiunge ai progetti di ricerca con gruppi come Alessi o Ikea, e alle consulenze per i nidi aziendali, da Benetton a Max Mara (di prossima apertura), in collaborazione tra Comune e Fondazione Giulia Maramotti.
Un successo incontrastato, che però implica un rischio: «Già dopo
Newsweek — spiega la pedagogista Carla Rinaldi — le pressioni per esportare il "metodo Reggio", per trasformarlo in un bollino di qualità, sono diventate enormi. Ma questa è una filosofia in continua evoluzione, fortemente radicata in un humus culturale preciso. Tutti ci chiedono una formula, ma la vera rivoluzione è che la formula non esiste...». E chi lo dice, adesso, alle mamme e ai papà di Manhattan?


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