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Corriere: Al mercato dei test truccati con il «familismo amorale»

UNIVERSITA' E MERITOCRAZIA

13/09/2007
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Corriere della sera

Q uello scoppiato in questi giorni a Bari e in altre università del Paese non è (solo) l'ennesimo scandalo italiano, che si segue distrattamente fino a che altre notizie, e forse altri scandali, non giungano ad indirizzare altrove la nostra attenzione. Non lo è perché il mercato dei test di accesso alle facoltà di Medicina e Odontoiatria sembra piuttosto collocarsi, con tutta la paradossale veridicità che spesso caratterizza i casi limite, all'incrocio di molti mali italiani. Anzitutto, rivela quanto il fenomeno della malasanità abbia potuto intaccare la stessa formazione dei medici fino a ridurla in alcuni casi a una evidente barzelletta: è del tutto ovvio che chi è disposto a spendere fino a 50 mila euro solo per accedere a studi molto impegnativi, che dureranno vari anni, lo fa avendo la certezza di laurearsi comunque e comunque trovare poi un posto. E c'è da tremare al solo pensiero di ciò che potranno combinare in sala operatoria gli studenti imbroglioni che fin qui sono riusciti a farla franca.
A Bari, a quel che ha riportato la stampa, a tentare di comprare i test sono stati pressoché in toto figli di medici e di dentisti. E dunque questa vicenda sembrerebbe avere a che fare anche, certo in una forma estrema e penalmente rilevante, con un altro fenomeno diffusissimo: quell'autoriproduzione delle professioni, con il conseguente blocco della mobilità sociale, che rende l'Italia di oggi — in cui i figli dei medici fanno i medici, i figli dei notai i notai e via elencando — molto simile a un Paese dell'ancien régime.
C'è poi un aspetto, in questo scandalo, che, benché evidente a tutti, si fa fatica a mettere per iscritto, tanto forte è il rischio d'essere fraintesi e di far accostare le proprie opinioni alle tante volgarità leghiste in materia. E tuttavia, possiamo considerare puramente casuale che al centro delle indagini e dei sospetti vi sia una grande università meridionale come Bari? O la circostanza non rivela anche che un pezzo del Mezzogiorno ha fatto di tutto, contro gli sforzi della sua parte migliore, per corrispondere alla perfezione allo schema che al Sud è stato cucito addosso da tempo, quello di un'area in cui vige, secondo la tristemente famosa definizione di Edward Banfield, un «familismo amorale»?
Nel caso dei test venduti e comprati emerge infine — ripeto ancora, nel modo estremo e paradossale in cui i casi limite ci parlano tuttavia del mondo vero e reale in cui viviamo — quell'incapacità dell'università italiana di premiare i «capaci e i meritevoli » che, appunto, assume a Bari e altrove forme drasticamente malavitose, ma si nutre anche di un pregiudizio diffuso a tutti i livelli della società italiana: una società nella quale prospera — secondo le parole di Aldo Schiavone ( la Repubblica
del 6 settembre) — una «ostilità preconcetta verso ogni valutazione» nel campo dell'istruzione. Non si spiegherebbe diversamente come, di fronte allo scandalo legato a test che sono utilizzati (congegnati assai meglio, certo) nelle migliori università del mondo, si sia potuto reagire da alcune parti (esponenti della sinistra radicale ma anche organizzazioni studentesche di destra e di sinistra) con la richiesta di abolire, finalmente e per sempre, numeri chiusi e test d'accesso. Lo stesso ministro Mussi nel marzo scorso invitava i rettori delle università a limitare i corsi a numero programmato, nella convinzione che ogni ostacolo all'accesso limiti il diritto di tutti allo studio. In realtà, come ha osservato ieri in una intervista il Rettore di Roma Tre, Guido Fabiani, una università che voglia offrire una istruzione adeguata deve appunto commisurare il numero degli studenti alle risorse — umane e non — delle quali dispone. Ma a ciò è da aggiungere, non meno importante, il fatto che la selezione nell'accesso alle facoltà universitarie, contrariamente a un'opinione diffusa, rappresenta una delle vie attraverso le quali i capaci e meritevoli possono (come recita la Costituzione) «raggiungere i gradi più alti degli studi». E annullare così le pretese di chi, a Bari o altrove, già prima di iscriversi si sente con la laurea di papà in tasca.
Lo scandalo della facoltà di Medicina di Bari e la malasanità No all'abolizione del numero chiuso e dei questionari d'accesso
di GIOVANNI BELARDELLI


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