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Corriere: «A scuola meno latino e più italiano»

La ricerca Interrogati 1.508 ragazzi tra 19 e 25 anni delle province di Lecce, Siena e Bologna La classifica Molto apprezzati inglese e informatica. Bocciate letteratura, matematica, musica. Critiche sulla competenza dei professori

13/05/2009
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Corriere della sera

I giovani giudicano i programmi appena studiati: insofferenza per la teoria, voglia di materie subito utili

MILANO — Cartesio, Aristotele e Rousseau? Noiosi, sorpassati e decisa­mente inutili. Per non parlare dello studio di funzioni o del calcolo vetto­riale, già difficili da capire di loro, spesso — oltretutto — spiegati male. No, grazie. Così come latino e greco antico: meglio che siano insegnati so­lo al classico. O almeno, così la pensa­no 3 ex studenti su quattro.

La scuola vista non più dagli alun­ni, non ancora dai genitori o dagli in­segnanti, è un paesaggio che si apre su scorci inaspettati. La graduatoria delle materie, i valori trasmessi, l’uti­lità per il futuro, il rapporto con la vi­ta reale: c’è tutto questo e altro anco­ra nella nuova indagine dell’Associa­zione TreeLLLe, dedicata alle opinio­ni dei «giovani adulti» — tra i 19 e i 25 anni, neodiplomati, universitari o lavoratori — nei confronti del siste­ma scolastico. Oltre millecinquecen­to interviste (per la precisione, 1.508) equamente suddivise tra 3 cit­tà, Lecce, Siena e Bologna. Tre territo­ri diversissimi fra loro, per risultati sorprendentemente simili. E un’istan­tanea inedita delle nostre scuole supe­riori. Scattata, per la prima volta, dal­l’altro lato dello specchio.

Il desiderio di comunicare

C’è, all’origine di tutto, una rifles­sione. «Si parla sempre di ciò che i ra­gazzi dicono della scuola, mentre la stanno frequentando. O dell’opinio­ne che ne hanno gli adulti, fuori or­mai da tempo. Entrambe le letture so­no falsate: dall’eccesso di coinvolgi­mento e dall’immaturità, o dalla lon­tananza e dalle rimembranze». È così che ad Attilio Oliva, presidente di Tre­eLLLe, è venuto da chiedersi: «Chi può dare un giudizio fermo e medita­to sulle superiori italiane?». La rispo­sta: «I giovani che le hanno lasciate da poco e ne vedono i risultati. Al la­voro, o all’università».

Ricerca nuova, risultati spiazzanti. Le materie, innanzitutto. Alla doman­da sull’«importanza» assegnata a cia­scuna di esse, solo 5 delle 10 inserite nel questionario sono state valutate come «molto importanti» da almeno la metà degli intervistati. La graduato­ria finale, raggruppando le «molto» e le «moltissimo» importanti, è netta e senza appello: la terna delle compe­tenze ritenute essenziali comprende l’inglese (85%), la «capacità di scrive­re correttamente in italiano» (78%), la «capacità di usare le tecnologie in­formatiche » (72%). Non la storia del­la letteratura, non la matematica. Per Oliva, «la risposta è chiarissima: die­tro c’è il desiderio e la voglia di posse­dere strumenti di comunicazione con il mondo. Con gli amici, con In­ternet, con l’Europa». Al polo estremo della classifica, ec­co le nuove Cenerentole: la filosofia, «intesa sia come analisi logica — spe­cifica il quesito — sia come studio delle visioni del mondo», ferma a quota 22%. E la musica, «compresa la sua pratica»: 13%. «E stiamo parlan­do — specifica Giancarlo Gasperoni, che ha diretto l’indagine — di una fa­scia d’età in cui si dà per scontato che quello musicale sia un elemento im­portante. Per certi versi è un segnale preoccupante, di sfiducia verso la scuola».

I promossi e i bocciati

Gasperoni, che è sociologo dei pro­cessi formativi all’Alma Mater di Bo­logna, nel Dipartimento di discipline della comunicazione, sa perfettamen­te che la percezione di una cosa è strettamente correlata alla sua rappre­sentazione.

«Per capirci, latino e gre­co antico: il 75% degli intervistati li vorrebbe solo al classico. E la mate­matica è ritenuta importante solo dal­la metà di questi 'giovani adulti', co­sa che si riflette anche sulle loro pre­stazioni ». Il punto è che «se non vie­ne percepita l’importanza di un inse­gnamento, è difficile che lo studio sia incentivato...».

E da chi, se non dai professori. I ve­ri «convitati di pietra» dell’indagine. Che, nella pagella stilata dai freschi ex studenti di licei e istituti tecnici di tutta Italia, restano figure dai contor­ni sfumati. Perché, alla domanda «su quanti insegnanti abbiano lasciato il segno o trasmesso valori — commen­ta Oliva —, la risposta è pochissimi»; addirittura nessuno (19%) o uno sol­tanto (45%). «E dato che si parla di tutta la secondaria, questo significa uno su 10 o più. Evidentemente c’è un livello medio di docenti che non lasciano traccia, e per un ragazzo que­sto significa molto».

Non a caso i «rapporti personali con gli insegnanti», insieme alla loro «competenza didattica», galleggiano nella fascia intermedia della pagella: un ex studente su 2 si definisce solo «abbastanza» soddisfatto. Molto me­glio i «rapporti con i compagni di classe», leggermente più soddisfacen­te l’«interesse delle materie». Medio­cri i libri di testo e le strutture scola­stiche, aule incluse. «Forse questo ac­cade — ipotizza Oliva — perché stu­denti e famiglie hanno aspettative non particolarmente elevate sulla scuola; temo che i nostri ragazzi non riescano neppure a sognare una scuo­la che sia molto più interessante e coinvolgente».

Dai banchi alla realtà

C’è anche, nella ricerca, un accento molto forte sul rapporto tra scuola e mondo esterno. Per esempio, quello del lavoro. «E alla domanda su quan­to sia adeguato alle richieste del mer­cato il livello di preparazione avuto al­le superiori — riassume Oliva —, la risposta è drammatica: la maggioran­za non ha avuto alcun contatto con il mondo del lavoro attraverso la scuo­la. Né stage, né tirocini». Che addirit­tura, interviene Gasperoni, «sono più rari nei percorsi liceali, in Italia storico bacino di provenienza della futura classe dirigente».

È, da sempre, una delle battaglie di TreeLLLe, insieme a quella sulla valu­tazione dei docenti. «Perfino Obama ne ha sostenuto la necessità — rilan­cia Oliva —. Una convinzione che si è sempre scontrata con un interrogati­vo: come si misura il loro valore? Be­ne, l’80% di questi 'giovani adulti' ri­tiene di essere stato in grado, a fine percorso, di valutare gli ex prof. Di più: il parere coincideva con quello dei compagni. È la dimostrazione che i giovani, in quella fascia d’età, sono i migliori giudici del proprio insegnan­te ». Va anche detto che, alla doman­da sulle figure di riferimento per le scelte scolastiche, due terzi degli in­tervistati ha risposto «se stessi» e, in seconda battuta, i genitori. E l’autore­ferenzialità, forse, è un rischio da non sottovalutare.

Gabriela Jacomella

gjacomella@corriere.it


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