Coronavirus, la preside dello Zen: “Una sofferenza non vedere i ragazzi, qui la scuola è ancora più importante”
I ragazzi dell'istituto comprensivo "Giovanni Falcone" nel quartiere Zen 2 di Palermo non hanno computer a casa: "Cerchiamo di stare vicini a tutti via smartphone. Alcuni ci mandano i compiti alle 3 di notte"
Valeria Teodonio
“Per me è una sofferenza non vederli nei corridoi. Una sofferenza fisica”. Daniela Lo Verde è la dirigente dell’istituto comprensivo Giovanni Falcone: materna, elementare e media del quartiere Zen 2, zona ad alto rischio di criminalità della periferia di Palermo. Qui la dispersione scolastica è molto elevata. Tantissimi genitori sono disoccupati, e diversi sono in carcere. Il 10 per cento degli studenti, a causa del contesto socio-culturale degradato e con grosse sacche di povertà, ha “bisogni educativi speciali”. I genitori sono quasi sempre giovanissimi, alcune ragazze hanno fatto l’esame di terza media con il bambino in braccio. Un quartiere fatto di tante case tutte uguali, cubi arancioni senza balconi. Dove non esistono luoghi di ritrovo e in cui la scuola è fondamentale, un punto di riferimento.
Preside, riuscite a comunicare con i bambini?
"Non con tutti. La dispersione scolastica esiste anche a distanza. Le famiglie che seguono i figli a scuola sono presenti anche adesso. Noi cerchiamo di comunicare con loro il più possibile. Ma nessuno ha il computer. Non hanno queste possibilità. Quindi cerchiamo di fare videochiamate, di mandare compiti e video attraverso WhatsApp".
E in quanti rispondono?
"Proprio come a scuola un terzo è sempre presente, un terzo c’è a singhiozzo, un terzo sfugge. Parliamo di 700 alunni. Con una quota di disabilità molto elevata: il 10 per cento. E molti sono casi gravi".
I ragazzi come stanno?
"Sono stanchi. Vogliono tornare a scuola. Molti fanno una vita completamente sregolata: ci mandano i compiti che abbiamo assegnato anche alle 2 o alle 3 di notte. Poi dormono di giorno. Noi cerchiamo di contattarli quotidianamente anche per mettere ordine nella loro vita. E per evitare che si lascino andare".
Ci sono famiglie in gravi difficoltà?
"C’è una mamma che vive sola con cinque figli, di cui quattro gravemente disabili, in un appartamento di 50 metri quadrati. Non riesce a seguire le lezioni di tutti, ovviamente. Non può distrarsi, perché ha paura di lasciare senza “sorveglianza” qualcuno dei suoi ragazzi, mettendoli in pericolo. Quindi ha deciso di chiudere le comunicazioni con la scuola. Noi ogni tanto le mandiamo dei messaggi, delle “faccine”, per farle sentire che comunque ci siamo. Ma ci ha detto che vuole essere contattata solo ogni due giorni".
I bambini come rispondono ai vostri messaggi?
"Noi mandiamo anche delle storie, dei video di ricette, foto di lavoretti di primavera da rifare in casa con materiale riciclato. E chi può, chi ha genitori presenti, risponde con entusiasmo. Una collaborazione inaspettata. Qualcuno ci ha mandato gli scatti dei biscotti che ha cucinato, o dei messaggi audio… Una bambina mi ha detto: “Quando torno a scuola, la prima cosa che faccio è abbracciarti”