Contratto più forte della Brunetta
L'INTESA SUL PUBBLICO IMPIEGO/Una sanatoria per i permessi e la mobilità. Dall'organizzazione degli uffici ai diritti dei lavoratori
Pagina a cura di Carlo Forte
La contrattazione collettiva potrà nuovamente derogare le norme di legge. Dovrebbe essere salva, dunque, la disciplina dei permessi e delle assenze tipiche contenuta nel contratto del 2009. E in parte anche quella sulla mobilità. Che altrimenti rischiavano di essere spazzate via dal rinnovo del contratto di lavoro, le cui trattative dovrebbero cominciare a breve all'Aran, dopo l'invio dell'atto di indirizzo da parte del governo. Sempre che l'accordo governo-sindacati per il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego sia tradotto in atti concreti con il prossimo esecutivo. Un accordo che punta, oltre agli aumenti, a smontare la riforma Brunetta.
La Brunetta, infatti, dal 2009 ha precluso alla contrattazione collettiva la possibilità di introdurre trattamenti difformi da quelli previsti dalla legge. Ciò vuole dire che, in assenza di un provvedimento legislativo che ripristini la possibilità per la contrattazione collettiva di introdurre trattamenti più vantaggiosi, il nuovo contratto non avrebbe più potuto prevedere istituti importanti come, per esempio, i permessi per motivi personali e familiari previsti dall'attuale articolo 15. La legge, infatti, non prevede questa possibilità. E il contrasto tra fonti, secondo la riforma Brunetta, va risolto in favore della legge cancellando la norma contrattuale in contrasto. Pertanto, qualora nel prossimo contratto le parti avessero ritenuto di mantenere in vita le norme sui permessi per motivi personali, le relative disposizioni contrattuali sarebbero risultate automaticamente nulle. Ciò vale per questa particolare tipologia di permessi, definita all'esito di 13 anni di trattative, e vale anche per la mobilità. In particolare per i trasferimenti e i passaggi che, attualmente, sono stati assoggettati ad una disciplina molto restrittiva, prevista dalla legge 107/2015, che prevede la cancellazione del diritto alla titolarità della sede.
Va detto subito che il ripristino della supremazia del contratto rispetto alla legge è tutto da costruire. In prima battuta, dunque, l'ipotesi più probabile è che il governo non accolga le richieste dei sindacati, volte a ripristinare il diritto alla titolarità della sede. Ma se al tavolo negoziale sarà restituita la facoltà di scrivere le disposizioni che riguardano anche gli aspetti normativi del rapporto di lavoro, ciò andrà a costituire un buon presupposto per ricostruire per via contrattuale diritti e tutele, faticosamente acquisiti negli anni, che attualmente o sono stati cancellati o, comunque, rischiano di essere posti nel nulla. L'inderogabilità delle norme di legge da parte della contrattazione collettiva, che vige dal 2009, rappresenta infatti l'ostacolo più grande da superare prima di dare avvio alle trattative. Tant'è che alcune organizzazioni sindacali avrebbero suggerito ai rappresentanti del governo di stralciare la parte normativa della contrattazione. Così da consentire a docenti e non docenti di continuare a fruire delle tutele contenute nel contratto del 2009 per effetto dell'ultrattività dei contratti collettivi. Grazie alla quale, fino a quando non si firma un nuovo contratto, vale quello precedente. Ultrattività garantita dalla stessa legge 15/2009 che, nel disporre la inderogabilità delle norme di legge, sanzionando on la nullità le clausole contrattuali difformi, prevede che, comunque, le deroghe contenute nei vecchi contratti continuino a dispiegare effetti fino alla stipula de contratto successivo. Questo ostacolo, però, dovrebbe essere rimosso dal governo. Che si impegnato a promuovere l'emanazione di un provvedimento legislativo «nell'esercizio della delega di cui all'articolo 17 della legge 124 del 2015», si legge nel testo dell'accordo. Che dovrebbe riequilibrare, a favore della contrattazione, il rapporto tra le fonti che disciplinano il rapporto di lavoro per i dipendenti di tutti i settori, aree e comparti di contrattazione.
L'effetto del provvedimento dovrebbe essere quello di ottenere una ripartizione efficace ed equa delle materie di contrattazione e degli ambiti della legge e del contratto, «privilegiando la fonte contrattuale quale luogo naturale per la disciplina del rapporto di lavoro, dei diritti e delle garanzie dei lavoratori, nonché degli aspetti organizzativi a questi pertinenti». Resta da vedere quali soluzioni saranno adottate dal governo e, soprattutto, se l'esecutivo opterà per un provvedimento generale riguardante il ripristino della disciplina previgente alla riforma Brunetta. Soluzione, questa, che consentirebbe al tavolo negoziale di muoversi agevolmente senza il rischio di introdurre norme nulle fin dall'atto della loro formazione. Oppure opterà per una mera manutenzione della riforma Brunetta, restituendo alla contrattazione collettiva solo alcune della materie che riguardano il rapporto di lavoro. Se l'esecutivo dovesse optare per questa soluzione, il rischio di nullità delle clausole che saranno stipulate in occasione della prossima tornata di contrattazione continuerà a sussistere. E con ogni probabilità le relative controversie sfoceranno nel contenzioso. In ciò vanificando il lavoro di interpretazione che è stato fatto finora proprio dai giudici, praticamente su tutti i principali istituti contrattuali attualmente vigenti.