Concorsi Più che un Patto serve un Piano
La semplice riattivazione dei concorsi non cambierebbe – da sola – la situazione della scuola italiana in modo significativo
Fare in modo che in cattedra salgano professionisti dell’educazione in grado di svolgere il delicato e sempre più complesso compito che si richiede a un insegnante è un aspetto cruciale per raggiungere quella qualità generalizzata che è una chimera della scuola italiana. I numeri sulla povertà educativa dicono impietosamente quanto siamo lontani. E non c’è dubbio che per ottenere quella pre-condizione la modalità primaria di selezione sia – come previsto dalla Costituzione – quella dei concorsi. Ma ci sono anche fondate ragioni per ritenere che la semplice riattivazione dei concorsi non cambierebbe – da sola – la situazione della scuola italiana in modo significativo (anche se di certo non la peggiorerebbe…). È vero che la ricerca, nazionale e internazionale, mostra che il più importante fattore della qualità dei risultati ottenuti dagli studenti è la qualità professionale dei loro insegnanti, ma è anche dimostrato che quest’ultima dipende da una pluralità di coefficienti che intervengono prima del reclutamento. Il principale problema del sistema educativo italiano nell’attuale momento non è in effetti costituito dalle modalità di reclutamento degli insegnanti (per concorso o tramite graduatorie) ma da un insieme di altri elementi che proviamo a riassumere: la loro formazione, iniziale e continua, che appare carente sul piano delle competenze professionali e sfasata rispetto alle esigenze dei giovani delle ultime generazioni; la mancanza di incentivi a scegliere i corsi di studio universitari che portano all’insegnamento; l’assenza di una carriera e di posizioni professionali intermedie con retribuzioni differenziate; l’arretratezza degli ordinamenti (con la parziale eccezione della scuola dell’infanzia e della primaria), tuttora disciplinaristi e basati su standard di prestazione impersonali; la conseguente ambiguità dalla loro mission sociale, sospesa tra selezione (legata agli standard) e inclusione, che richiederebbe una esplicita personalizzazione dei modi e dei tempi dell’apprendimento e la sostanziale eliminazione delle ripetenze, che sono un fallimento della scuola più che degli studenti; il ritardo nell’impiego sistematico delle nuove tecnologie nella didattica, dovuto anche al conservatorismo dei nostalgici della scuola libro-centrica e solo in presenza dell’era pre-internet.In mancanza di un organico programma di politica scolastica (almeno triennale, come propone Gino Roncaglia in un efficace articolo pubblicato sul sito agendadigitale.eu) che affronti questi problemi, che nel loro insieme sono quelli della modernizzazione del nostro sistema educativo, il ritorno dei vecchi concorsi non basterebbe. Insomma, concorsi sì, ma il compito è ben più ampio. Per ricostruire un edificio in rovina occorre avere un progetto complessivo