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Comprensivi. Intervista a Giancarlo Cerini

il punto della situazione nazionale

15/05/2013
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ScuolaOggi

E'  da almeno 15 anni che, per legge, gli istituti comprensivi dovrebbero essere la regola. Eppure ci è voluta una ulteriore disposizione (l’art. 19 della legge n. 111/2011) per renderli obbligatori. Da cosa deriva questa “idiosincrasia” diffusa verso i comprensivi?

Gli istituti comprensivi hanno ormai compiuti i 18 anni (sono infatti nati - quasi “per caso” - nel 1994, nell’ambito della legge quadro per la tutela della montagna) e la loro storia si è intrecciata con la storia della nostra scuola di base, con le sue speranze, i suoi ritardi, le sue virtù ma anche le sue criticità. È stato un periodo di forti tensioni, di tentativi di riforma spesso andati a vuoto (si pensi ai grandi disegni di Berlinguer e della Moratti), di ricorrenti crisi economiche. Nonostante queste incertezze l’istituto comprensivo si è progressivamente insediato nel panorama della scuola italiana. È vero che c’è stata una accelerazione impropria dovuta alla legge n. 111/2011 (una manovra finanziaria), ma su 5.000 istituti comprensivi oggi funzionanti (oltre l’80% delle scuole italiane), ben 4.000 lo erano diventati prima della norma che li ha resi obbligatori. Infatti, in tutti questi anni, aveva continuato ad operare il D.P.R. n. 233/1998 sul dimensionamento,
che consentiva di scegliere tra due modelli equivalenti: l’aggregazione in verticale delle scuole o quella in orizzontale, con uno standard numerico compreso tra i 500 ed i 900 alunni. Il successo” dei comprensivi si deve dunque alla sua rispondenza a certe caratteristiche del nostro territorio (l’Italia è il paese degli 8.000 comuni) e ad una consonanza con alcuni princìpi pedagogici “forti”, come quelli che fanno capo all’idea di continuità educativa. È pur vero che i maggiori tifosi dei comprensivi sono stati gli enti locali piuttosto che gli operatori scolastici, spesso impressionati dalla faticosità del nuovo modello organizzativo. Insomma, è più facile vedere gli aspetti di complicazione gestionale del comprensivo, piuttosto che il possibile valore aggiunto. Questo può uscire solo alla lunga distanza e con investimenti professionali e culturali (oltre che finanziari) appropriati. „ Credo che si debba anche riconoscere che in questi anni molti comprensivi sono nati male: scuole primarie facenti parte del comprensivo X dipendono territorialmente dalla scuola secondaria del comprensivo Y, oppure vi sono comprensivi senza scuole dell’infanzia. Le logiche sono state insomma più numeriche che funzionali...

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