Come sopravvivere e perché nella scuola italiana
Manuela Pascarella è una professoressa delle superiori, ‘tecnicamente’ di scuola secondaria di secondo grado
da "L'officina del lavoro"
di Frida Nacinovich
Manuela Pascarella è una professoressa delle superiori, ‘tecnicamente’ di scuola secondaria di secondo grado. Vive e lavora a Roma, insegna storia e filosofia, negli anni ha ottenuto anche l’abilitazione per il sostegno. “Grazie a questa specializzazione ho potuto avere contratti per l’intero anno scolastico, da settembre a giugno – racconta Pascarella – le altre supplenze erano molto più brevi”. Storie di ordinario precariato intellettuale, dove non bastano titoli di studio, anni di esperienza sul campo per ottenere l’agognata stabilità lavorativa. “Nei mesi estivi incassi l’assegno di disoccupazione, a settembre aspetti una chiamata per tornare a lavoro”.
Nell’Italia della crisi, quasi inutile dirlo, i concorsi per diventare insegnante di ruolo sono bloccati, non arrivano le graduatorie per le stabilizzazioni. “Se il piano Gemini prevedeva 20mila stabilizzazioni, ne sono state fatte poche più della metà”, sottolinea Pascarella evidenziando subito che in questo modo la continuità didattica va a farsi benedire. “E per un’insegnante di sostegno è ancora più difficile, lacerante, cambiare continuamente allievi. Lo scenario potrebbe migliorare, le ultime mosse del governo vanno verso un aumento delle cattedre per il sostegno”. Un piccolo passo in controtendenza, forse l’unico in un panorama malinconicamente sempre uguale a se stesso.
“La riforma Fornero – spiega Manuela Pascarella – è riuscita nell’impresa di bloccare il turn over, che era l’unico modo per avere qualche speranza di diventare di ruolo. Nella scuola, un universo con una fortissima presenza femminile, prima si andava in pensione a sessanta anni, ora sono diventati sessantasette. Con tutte le conseguenze del caso: turn over bloccato, graduatorie sempre più lunghe, precarietà ancora più diffusa”.
Ma i prof avevano avuto in dono mele avvelenate anche dai governi precedenti. Se Monti e Fornero hanno bloccato il turn over, Berlusconi e Gemini avevano ridotto gli organici in modo drastico. “Hanno alzato il numero degli alunni per classe – sottolinea Pascarella – e ridotto le compresenze. Il risultato finale, davvero brillante, è che abbiamo il corpo docente con l’età media più anziana d’Europa. Non c’è stato ricambio generazionale”.
Manuela Pascarella è anche una sindacalista, iscritta alla Flc Cgil, fa parte del coordinamento nazionale dei precari della conoscenza. “In mancanza di un necessario ampliamento degli organici, la Cgil ha calcolato l’‘organico funzionale’, cioè il numero di addetti necessari per gestire l’attività didattica al netto delle malattie e delle assenze temporanee”. Come marcia il motore scolastico con gli organici ridotti all’osso dopo la cura Gemini? “Se manca un’insegnante, i suoi alunni vengono divisi nelle altre classi – racconta Pascarella – A gruppetti di cinque migrano in altre aule. Può succedere di avere oltre ai propri 25 alunni, altri cinque di età diversa, o che hanno la stessa età ma sono a un punto differente del programma. Le distrazioni sono inevitabili. Tenere l’ordine in classe, che non è mai facile, diventa ancor più complicato”.
Manuela Pascarella ha iniziato a insegnare dopo l’abilitazione, a 27 anni. Laurea con 110 e lode, specializzazione alla Ssis, le prime supplenze e una seconda specializzazione come prof di sostegno. Negli anni il traguardo di una propria cattedra diventa un punto indefinito nell’orizzonte. Si può arrivare a quarant’anni, averne passati tredici da precaria, senza ancora la certezza di conquistare un ruolo in organico e con quello una necessaria serenità.
Pascarella ha sotto mano una tabella molto esplicativa: “Negli anni settanta si diventava di ruolo in media a 28 anni, negli anni ottanta a trenta, nei novanta si era arrivati ai 34 anni, nel 2006 ai 38, nel 2008 ai 41 anni. Sono dati della fondazione Agnelli, che non può essere certo tacciata di avere posizioni socialiste”. La fotografia di un mondo, quello della scuola, che davvero non ha niente di fisiologico. A riprova, Pascarella racconta di aver fatto per divertimento il calcolo di quanto prenderà in pensione secondo le simulazioni del sito di Repubblica. “Quattrocento euro al mese. Con una laurea a pieni voti, l’abilitazione e un paio di specializzazioni”.
I prof sono abbastanza sindacalizzati. “Non siamo in tantissimi ad avere una tessera in tasca, ma neppure pochi – osserva Pascarella – anche se lavoriamo con contratti a termine, abbiamo le tutele del contratto nazionale di lavoro. E per noi è importantissimo. Significa avere i permessi, la malattia, i corsi di aggiornamento”. Intorno al mondo della scuola gravitano lavoratori in appalto, di cooperative, che il contratto nazionale se lo sognano. Eppure lavorano anche loro nella scuola, anche se hanno un inquadramento diverso dai docenti dovrebbero essere tutelati nelle loro attività. Ma tant’è. Sono cresciuti come funghi negli autunni miti cocopro, contratti a progetto e altre forme atipiche.
Trentatré anni per un insegnante nell’Italia di oggi significano almeno un altro lustro di precariato... “Ma io il concorso l’ho vinto quindi devo armarmi di santa pazienza e aspettare che arrivi il mio momento”. Le cose non dovrebbero andare così. Invece ci vanno. “Quando ho iniziato, sei anni fa, era appena stato varato il piano del ministro Fioroni che prevedeva l’immissione in ruolo di 150mila precari – tira le somme Pascarella – Poi invece è arrivata la riforma Gelmini che ha tagliato 130mila posti di lavoro. L’ultima mazzata è stata la riforma Fornero che ha portato a 67 anni l’età della pensione, allungando ancora la trafila dei precari”. Ma si va avanti, la scuola italiana per i prof è anche una scuola di sopravvivenza.