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Come si valuta un preside

Il test utilizza il metodo della «grammatica valenziale». Ecco che cos’è (e chi imbroglia)

08/07/2016
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Corriere della sera

Paolo Di Stefano

A nche i presidi avranno la pagella. O meglio, anche i presidi verranno valutati. Per la prima volta. Poco più di una settimana fa la ministra Stefania Giannini ha firmato una direttiva per la valutazione dei dirigenti scolastici, che con la Buona Scuola hanno acquisito maggiori responsabilità organizzative e didattiche. Sono oltre settemila e a ciascuno di loro vengono assegnati vari obiettivi di miglioramento: scopo dichiarato dal ministro è «la loro crescita professionale e, di conseguenza, il miglioramento della comunità scolastica in cui operano».

Ma se i risultati non verranno, non si escludono provvedimenti: i dirigenti cambiano scuola o lavoro. Il problema è: con quali criteri valutarli? Lo spiega Damiano Previtali, ex preside del liceo classico Sarpi di Bergamo, oggi responsabile della Valutazione del sistema di istruzione: la parola chiave rivela risvolti molto affascinanti (e nuovi). È «grammatica valenziale». Si tratta di un modello di descrizione della struttura della frase elaborato negli anni 50 da un linguista francese, Lucien Tesnière, e sviluppato in Italia, per manuali e dizionari, da studiosi illustri come Francesco Sabatini, presidente emerito dell’Accademia della Crusca.

È lo stesso Sabatini a illustrare il senso di questo tipo di indagine, esteso ormai a quasi tutte le lingue. Partendo dal principio che la lingua è un sistema incardinato nel cervello, questa grammatica riconosce nel verbo delle valenze che dipendono della sua forza aggregativa. Qualche esempio. Un verbo come «regalare» è trivalente perché per essere completato necessita di tre argomenti: chi regala? che cosa regala? a chi regala? Un verbo come «sbadigliare» è monovalente (chi sbadiglia?). Un verbo come «mangiare» è bivalente (chi mangia? che cosa mangia?) eccetera.

Questa idea, che ha fondamenti neurologici, permette di valutare la coerenza e la chiarezza dei testi normativi: leggi, prescrizioni, ricette, istruzioni tecniche (è logico che un’opera letteraria segue criteri più elastici). Ebbene, le relazioni richieste ai presidi (150 caratteri per ogni obiettivo) appartengono alla sfera normativa e dunque sono valutabili secondo criteri scientifici. Gli informatici della Hewlett Packard, con un particolare trattamento testuale, hanno magicamente trasformato la teoria valenziale in sistema di valutazione: «Un’analisi molto ricca e raffinata — sottolinea Previtali — ma soprattutto una rivoluzione per il sistema scolastico attesa da 15 anni».

Ebbene, i primi risultati sono già disponibili per i materiali dell’anno appena concluso. E dicono che il 5 per cento dei presidi (cioè oltre 350) non ha definito bene i propri obiettivi, secondo i criteri della pertinenza, della chiarezza e della coerenza. «Ogni dirigente — dice Previtali — deve segnalare al ministero i punti di forza e di debolezza del proprio istituto: risultati scolastici, risultati delle prove Invalsi, delle competenze-chiave di cittadinanza eccetera. In funzione di questi, il dirigente individua delle aspettative».

Il rischio dell’autocelebrazione non è da escludere, ma ci sono sistemi comparativi con i dati già in possesso del ministero (su debiti, dispersione scolastica, Invalsi eccetera), che permettono di misurare la coerenza delle «autoanalisi»: proprio su queste basi si viene a scoprire che il 3 per cento, dunque ben oltre duecento dirigenti, ha presentato dati Invalsi che non coincidono con i dati reali: «peccato grave» è la metafora usata da Previtali. Al 5 per cento da «bocciatura», si aggiunge un 10 per cento di relazioni con errori più lievi («obiettivi non saturi» dice il lessico burocratico), che Previtali definisce «accettabili». Tra accettabili e non accettabili saliamo, insomma, al 15.

Se è vera rivoluzione, ciò avviene perché finalmente alle scienze del linguaggio viene riconosciuto un ruolo che va oltre l’applicazione, ovvia, alla didattica.


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