Come non si fa una riforma dell'università
Da un anno il ministro Gelmini ha rifiutato il confronto con le opposizioni, con le rappresentanza del mondo accademico, dei ricercatori, degli studenti, non ha tenuto conto neppure dei suggerimenti della Conferenza dei Rettori
Marilena Adamo
Questa in sintesi la morale di quanto sta avvenendo nelle aule parlamentari e nel Paese a proposito di Riforma. Da un anno il ministro Gelmini ha rifiutato il confronto con le opposizioni, con le rappresentanza del mondo accademico, dei ricercatori, degli studenti, non ha tenuto conto neppure dei suggerimenti della Conferenza dei Rettori. I miglioramenti che pur ci sono stati, sono stati sempre solo ad opera di emendamenti parlamentari, in alcuni casi, come alla camera contro la volontà del Governo. Ma questo rifiuto del confronto parte da subito, alla prima lettura del Senato. Mentre in Commissione si stavano creando le condizioni per modificare il testo del Governo e produrre una riforma condivisa, è intervenuto direttamente il ministro con il suo "niet". Lì, nove mesi fa, si è consumato il primo e fatale errore, ben prima della giusta protesta di ricercatori e studenti. Perchè migliorare il nostro sistema universitario, potenziarne il ruolo nell'innovazione e nella ricerca, avrebbe dovuto essere obiettivo prioritario per il Paese, alla cui realizzazione chiamare con responsabilità, tutte le forze politiche e sociali, tutti gli attori diretti e indiretti. Invece non è stato così, fino all'approvazione l'altro giorno allacamera con un colpo di mano da parte di un governo screditato e sotto scacco. Diciamo subito che qui al Senato il testo non vedrà l'aula prima della verifica politica del 14 Dicembre: non c'è nessuna disponibilità da parte del PD e delle altre opposizioni a permetterlo,nè a concedere, anche dopo, corsie preferenziali per un testo che ci vede fortemente contrari. Qualcuno ci chiede perchè. Perchè, ci chiedono importanti commentatori se è una legge che introduce il merito e la valutazione, non sono forse anche le vostre parole d'ordine? Certo, queste sono le parole usate dal ministro e scritte in relazione, ma nel testo non c'è nulla di tutto ciò. Merito e valutazione verranno introdotti dopo, a data da destinarsi, e attraverso una pletora di norme e regolamenti (qualcuno ne ha contati 670), che di fatto ricentralizzano in capo al ministero e minano nel profondo l'autonomia dell'università. Altro che autonomia e responsabilità! ci troviamo di fronte ad un iper normativisto borbonico e a un iper burocratismo statalista degno di altre, lontane, stagioni della storia italiana. Di concreto, invece c'è un taglio in tre anni di circa il 15% delle risorse per l'attività ordinaria, mentre tutti i Paesi europei stanno investendo in formazione e ricerca.Tagli lineari che hanno colpito in modo indifferenziato tutti e quindi hanno di fatto premiato indirettamente i luoghi dello spreco e della clientela. Se un'università come il Politecnico di Milano denuncia pubblicamente, sui siti ufficiali, l'impossibilità di continuare a garantire i corsi di studi e l'eccellenza riconosciuta finora, se non cambierà la situazione, ci saranno pure delle buone ragioni. Di concreto, c'è il taglio al Diritto allo studio, nella quota nazionale, che sommato ai tagli alle regioni per la loro quota provocherà davvero una selezione di classe nell'accesso agli studi. Di concreto, c'è un sistema di reclutamento che invece di risolvere il precariato ne sta creando di nuovo, insieme al depauperamento del corpo docente. Veniamo infatti da un lungo periodo di blocco delle assunzioni e carriere, che sta comportando un aumento della precarietà, ma anche la fuga continua dei migliori ricercatori verso altri paesi o centri di ricerca privati Intanto si prevedono numerosi pensionamenti tra gli ordinari e i tempi per lo sbolcco con la riforma a regime sono tali da preoccupare per la qualità docente delle nostre università nei prossimi anni. Inoltre, visto che la centralizzazione viene giustificata con la lotta alle clientele, la pressione che ci sarà sui prossimi concorsi, quando finalmente ci saranno, sarà tale rispetto al numero dei posti, da lasciar prevedere esattamente il contrario. Questo testo deve essere ritirato, non certo per lasciare le cose come stanno, ma per una riforma che punti davvero su autonomia e responsabilità, poche regole chiare, incentivi e disincentivi, merito ed eccellezza come traguardo di un sistema che garantisca pari opportunità di accesso, finanziamenti certi per programmi di medio periodo. Si può fare e si farà, ma con un altro governo.