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Classifiche delle università, maneggiare con cura

Le classifiche sono strumenti sempre più usati sul mercato, quindi importanti. Ma non è detto che dalle élite che producono esca in ogni caso l’élite della qualità: è bene prenderle per quello che sono.

24/06/2014
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Corriere della sera

Danilo Taino

~~Non che la reputazione non sia importante nella scelta di un’università o di un master post-laurea: spesso è fondamentale. Il guaio, quando si considerano le classifiche dei «migliori» atenei o corsi, è che però spesso vale la vecchia regola: «Niente è più di successo del successo». Ieri, due autorevoli quotidiani finanziari — il britannico Financial Times e l’italiano Sole-24 Ore — hanno pubblicato classifiche molto diverse tra loro, ma interessanti ed entrambe interne alla tendenza globale a dare i voti alle attività universitarie: una parte consistente dei criteri che adottano per «mettere in fila» i corsi di studio sono influenzati dalla reputazione degli atenei; a loro volta, queste classifiche ne aumentano o ne diminuiscono il prestigio. Sono utili e, se analizzate bene, aiutano a scegliere e a individuare le strade che danno migliori prospettive di carriera. Ma allo stesso tempo creano una élite di istituti che non necessariamente risponde a logiche meritocratiche. È un po’ il difetto della ranking-mania , del desiderio di fare classifiche su tutto piuttosto amato dai dipartimenti di marketing.
 Il Financial Times ha condotto il suo studio sui master in Finanza globali, sia a quelli dedicati a chi ha già alcuni anni di esperienza di lavoro sia a quelli indirizzati a chi si è appena laureato. Tra i primi, «vince» la London Business School: era già così l’anno scorso e quello prima. Al secondo posto debutta la Judge Business School di Cambridge e al terzo si è confermata la University of Illinois at Urbana-Champaign. Nei master pre-esperienza di lavoro al primo posto arriva la Hec di Parigi, al secondo la spagnola Esade Business School, al terzo la Edhec, parigina. In questa classifica, la Bocconi è salita dal ventesimo all’ottavo posto.
 Comprensibilmente, trattandosi di master post-universitari, nei criteri di valutazione l’Ft dà un alto peso al salario di chi li ha frequentati, alla sua variazione tra prima e dopo il corso, all’andamento della carriera: tra il 50 e il 60% del punteggio finale arriva da lì, da criteri che sono influenzati dalla qualità del programma ma non in maniera diretta e dimostrabile (il prestigio di un master può essere più influente sul salario di ciò che uno vi impara, soprattutto se la variazione della retribuzione viene misurata poco tempo dopo il corso). Altri criteri sono legati alla qualità dell’insegnamento in modo piuttosto lasco: per esempio la presenza femminile pesa per il 9% del giudizio finale dei master pre-esperienza di lavoro. Nel complesso, la classifica del Financial Times disegna un quadro di master di prestigio e di valore per carriera, remunerazione e status sociale. Non necessariamente si tratta di una classifica che stabilisce l’élite meritocratica dei corsi e di chi vi partecipa.
 Il Sole-24 Ore , invece, studia i corsi universitari in Italia: fa una divisione tra atenei statali e non statali e, all’interno delle due categorie, produce una classifica didattica e una di ricerca, le quali sommate danno una classifica generale. In questa, al primo posto tra gli statali ci sono Verona e Trento e al terzo il Politecnico di Milano; mentre tra le università private, in testa arriva il San Raffaele di Milano seguito dalla Bocconi e dalla Luiss di Roma a pari punti. Il San Raffaele è in testa, sempre tra i non statali, sia per didattica che per ricerca; tra le università pubbliche, invece, nella didattica il primo posto è condiviso da Trento e Poli Milano e nella ricerca al primo posto c’è Verona. In questa classifica, i criteri di valutazione sono legati alla qualità dell’insegnamento in modo più diretto, come ci si aspetta quando si parla di corsi universitari di base: ad esempio il numero di docenti, la mobilità internazionale degli studenti, la selezione dopo il primo anno, la qualità della produzione scientifica.
 La valutazione fatta per università e non per facoltà o corsi, però, rischia di rendere la classifica poco focalizzata e difficili i paragoni. Confrontare Bocconi e Luiss, tra gli atenei non statali, è per esempio sensato: ma farlo tra il San Raffaele e Bra Scienze Gastronomiche è un passo un po’ lungo. Così come paragonare, tra le università statali, i Politecnici e, per dire, L’Orientale di Napoli. Anche qui, reputazione e prestigio finiscono con il prevalere sulla specificità dell’insegnamento.
 Le classifiche, insomma, sono strumenti sempre più usati sul mercato, quindi importanti. Ma non è detto che dalle élite che producono esca in ogni caso l’élite della qualità: è bene prenderle per quello che sono.


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