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Dopo 5 anni, se non accetta di passare in altra amministrazione Il docente inidoneo si può licenziare (Corte costituzionale 322/2005) Il docente inidoneo all'insegnamento, per motivi di salute, se...
Dopo 5 anni, se non accetta di passare in altra amministrazione
Il docente inidoneo si può licenziare
(Corte costituzionale 322/2005)
Il docente inidoneo all'insegnamento, per motivi di salute, se non accetta di passare ad altre amministrazioni, dopo 5 anni può essere licenziato. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con una sentenza depositata il 26 luglio 2005. La questione legittimità costituzionle era stata sollevata dal Tribunale di Roma, che aveva eccepito una sorta di disparità di trattamento tra i docenti e i non docenti in materia di risoluzione del rapporto di lavoro, in caso di inidoneità, a sfavore degli insegnanti. Il Giudice delle leggi, però, non ha accolto la tesi del Tribunale, affermando la piena liceità di trattamenti diversi tra docenti e non docenti, a causa della diversità delle funzioni svolte da queste categorie di personale. La norma contestata è l'articolo 35, comma 5, della legge 289 del 2002: la Finanziaria del 2003. (01 agosto 2005)
SENTENZA della Corte costituzionale N. 322 dell'ANNO 2005
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2003), promosso con ordinanza del 9 luglio 2004 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Bellucci Carlo ed altri e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, iscritta al n. 894 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'8 giugno 2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto in fatto
1. Nel corso di un giudizio, promosso nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca da alcuni insegnanti dichiarati permanentemente inidonei allo svolgimento della funzione di docente per motivi di salute e utilizzati in altri compiti, volto all'accertamento del diritto, in ragione di quanto previsto dai contratti collettivi di settore, alla conservazione del rapporto di impiego, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 9 luglio 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2003), per violazione degli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione.
1.1. La norma sospettata di illegittimità costituzionale dispone che "il personale docente dichiarato inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, dalla commissione medica operante presso le aziende sanitarie locali, qualora chieda di essere collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti, è sottoposto ad accertamento medico da effettuare dalla commissione di cui all'articolo 2-bis, comma 2, del decretolegislativo 30 aprile 1997, n. 157 [1], come modificato dall'articolo 5 del decreto legislativo 29 giugno 1998, n. 278, competente in relazione alla sede di servizio. Tale commissione è competente altresì ad effettuare le periodiche visite di controllo disposte dall'autorità scolastica. Il personale docente collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti per inidoneità permanente ai compiti di istituto può chiedere di transitare nei ruoli dell'amministrazione scolastica o di altra amministrazione statale o ente pubblico. Il predetto personale, qualora non transiti in altro ruolo, viene mantenuto in servizio per un periodo massimo di cinque anni dalla data del provvedimento di collocamento fuori ruolo o di utilizzazione in altri compiti. Decorso tale termine, si procede alla risoluzione del rapporto di lavoro sulla base delle disposizioni vigenti. Per il personale già collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti, il termine di cinque anni decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge".
Il giudice a quo premette che l'accertamento della inidoneità permanente risale, per tutti i ricorrenti, a data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 289 del 2002 e che l'utilizzazione del personale docente, inidoneo allo svolgimento delle proprie funzioni, è disciplinata dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del comparto scuola, sottoscritto il 4 agosto 1995, dal contratto collettivo decentrato nazionale (CCDN), stipulato il 1° febbraio 1996 e modificato dal successivo CCDN del 24 ottobre 1997, nonché dal contratto collettivo decentrato provinciale (CCDP), sottoscritto il 18 marzo 1999; disciplina che riguarda, altresì, anche il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (personale ATA), nonché i dirigenti.
La norma censurata, ad avviso del rimettente, introduce una causa di "licenziamento in futuro", peraltro diversa dalla generale previsione di legge del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, per la sola categoria docente cui appartengono i ricorrenti.
Tale norma, quindi, comporterebbe un danno economico legato alla perdita della progressione economica di carriera, con conseguenze sul trattamento pensionistico e sulla indennità di liquidazione e discriminerebbe il personale docente inidoneo rispetto al personale scolastico dirigente ed amministrativo, analogamente inidoneo, per il quale non è previsto alcun transito ad altra amministrazione, né la risoluzione del rapporto di lavoro.
Vi sarebbe, altresì, una disparità di trattamento nei confronti del personale docente per mancata applicazione delle tutele di cui agli artt. 33 e 34 deldecreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [2](Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), relativi alla gestione delle eccedenze di personale e alla mobilità collettiva. La norma violerebbe, inoltre, il principio di tutela delle posizioni lavorative dei portatori di handicap, di cui all'art. 39 del d.lgs. n. 165 del 2001, in base al quale le pubbliche amministrazioni ne devono promuovere l'assunzione e non il licenziamento.
La disposizione censurata contrasterebbe, quindi, con gli artt. 3, 35 e 36della Costituzione [3], in quanto verrebbe ad introdurre una disciplina svantaggiosa per i soli docenti e non per le altre due categorie di personale che operano nel mondo della scuola (dirigenti e personale ATA).
2. È intervenuto in giudizio, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha dedotto preliminarmente la inammissibilità della questione, attesa la carenza di adeguata motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della stessa.
2.1. Secondo la difesa erariale, l'ordinanza di rimessione risulterebbe, infatti, priva di argomentazione circa gli effetti della invocata pronuncia di incostituzionalità rispetto all'esito del giudizio a quo, del quale non viene neanche indicato chiaramente il contenuto della domanda e, in particolare, il tipo di pronuncia richiesto. Ciò anche in ragione della circostanza che manca qualsiasi provvedimento che incida sul rapporto di lavoro dei ricorrenti. Deduce la difesa dello Stato, quindi, come lo scopo del giudizio a quo appaia proprio il conseguimento della declaratoria di illegittimità costituzionale, circostanza che, per l'appunto, renderebbe inammissibile, per difetto di rilevanza nel giudizio principale, la questione stessa.
Il giudice a quo [4] si sarebbe poi limitato solo ad affermare apoditticamente la sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza, mediante il semplice rinvio alle argomentazioni prospettate dalla difesa dei ricorrenti. Dovrebbe, pertanto, trovare applicazione la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la questione di legittimità costituzionale è manifestamente inammissibile nei casi in cui il giudice a quo si limiti a rinviare per relationem al contenuto di un atto della parte privata senza esplicitare le ragioni che lo hanno indotto a dubitare della legittimità costituzionale della norma censurata e senza descrivere la fattispecie sottoposta alla Corte.
2.2. Nel merito, l'Avvocatura chiede che la questione sia dichiarata non fondata. Essa deduce, al riguardo, come non sembri sufficiente, per ritenere che la norma denunciata abbia violato il parametro costituzionale della parità di trattamento sancito dall'art. 3 della Costituzione, il confronto con la distinta disciplina prevista dalla contrattazione collettiva per tutte le categorie del personale scolastico (personale docente, personale amministrativo, tecnico e ausiliario e dirigenti, vale a dire presidi e direttori didattici); disciplina che, a seguito dell'entrata in vigore della norma in esame, continuerebbe ad applicarsi al personale diverso da quello docente. Secondo la difesa erariale, infatti, l'appartenenza di tutte le categorie di personale sopra indicato all'amministrazione scolastica non è sufficiente a superare le profonde differenze esistenti nei profili professionali del personale docente, da una parte, e di quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, nonché di quello dirigente, dall'altra. In realtà, mentre è possibile ipotizzare che il soggetto dichiarato inidoneo all'insegnamento, ma idoneo ad altri compiti, possa essere utilmente impiegato in altri settori della stessa amministrazione o di altra amministrazione statale o ente pubblico, di converso non è facilmente ipotizzabile una soluzione simile anche per il personale scolastico dirigente o amministrativo dichiarato inidoneo, per motivi di salute, a svolgere le mansioni previste dal profilo di appartenenza. L'Avvocatura ricorda, altresì, come il comma 6 dell'art. 35 della legge n. 289 del 2002 stabilisca che "per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario dichiarato inidoneo a svolgere le mansioni previste dal profilo di appartenenza non si procede al collocamento fuori ruolo. I collocamenti fuori ruolo eventualmente già disposti per detto personale cessano il 31 agosto 2003". Infine, la difesa dello Stato deduce come non si possa sostenere che la norma censurata leda il principio della tutela del lavoro ed il diritto alla retribuzione dei lavoratori, riconosciuti rispettivamente dagli artt. 35 e 36 della Costituzione, in quanto la risoluzione del rapporto di lavoro viene individuata, come estrema ratio, nell'ipotesi in cui il docente dichiarato inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, non intenda chiedere, nel termine massimo di cinque anni, di transitare nei ruoli dell'amministrazione scolastica o di altra amministrazione statale o ente pubblico. In questo caso la risoluzione del rapporto di lavoro discende direttamente dalla mancata volontà del dipendente di trovare, comunque, nel settore pubblico ed in tempi sicuramente ragionevoli, una nuova ed idonea collocazione lavorativa confacente al proprio stato di salute.
2.3. Con successiva memoria, l'Avvocatura ha insistito nelle richieste già formulate ribadendo le difese svolte.
Considerato in diritto.
1. Il Tribunale di Roma, adìto con ricorso da alcuni insegnanti, dichiarati permanentemente inidonei allo svolgimento della funzione di docente per motivi di salute e utilizzati in altri compiti, per l'accertamento del diritto degli stessi alla conservazione del rapporto di lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2003), per violazione degli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione.
1.1. La norma in questione dispone che il personale docente, dichiarato inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, collocato fuori ruolo o utilizzato diversamente, può chiedere di transitare nei ruoli dell'amministrazione scolastica o di altra amministrazione statale o ente pubblico; qualora non transiti in altro ruolo, viene mantenuto in servizio per un periodo massimo di cinque anni dalla data del provvedimento di collocamento fuori ruolo o di utilizzazione in altri compiti e, decorso tale termine, si procede alla risoluzione del rapporto di lavoro sulla base delle disposizioni vigenti.
L'ultimo inciso dell'art. 35, comma 5, contiene una disposizione transitoria, in ragione della quale, per il personale già collocato fuori ruolo o utilizzato in altri compiti (è questa la condizione in cui si trovano i ricorrenti nel giudizio a quo), il termine di cinque anni decorre dalla data di entrata in vigore della legge medesima.
Ad avviso del rimettente, la norma in esame contraddice quanto previsto dalla normativa contrattuale di settore, arreca un danno economico ai ricorrenti e viola il principio della tutela delle posizioni lavorative dei portatori di handicap (art. 39 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che reca "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche").
La disposizione censurata sarebbe, quindi, lesiva degli artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, in quanto introdurrebbe una disciplina svantaggiosa per i soli docenti e non per le altre due categorie di personale che operano nel mondo della scuola (dirigenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario personale ATA).
Si realizzerebbe, in particolare, una disparità di trattamento nei confronti del personale docente per la mancata applicazione, nei confronti dello stesso, delle tutele previste dagli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Il Tribunale ha osservato, in ordine alla rilevanza della questione, che la risoluzione del rapporto di lavoro, ai sensi della disposizione impugnata, in ragione delle condizioni oggettive e soggettive in cui si trovano i ricorrenti, potrebbe avvenire "in qualsiasi momento e comunque entro gennaio 2008".
2. Ciò precisato, occorre darsi carico, preliminarmente, della eccezione di inammissibilità della questione, per carenza di motivazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato.
L'eccezione non è fondata.
2.1. Il giudice rimettente ha esplicitato, con motivazione non implausibile (cfr. sentenze n. 147 del 2005 e n. 339 del 2004), le ragioni della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, chiarendo, in particolare, come il giudizio a quo sostanzialmente abbia ad oggetto una domanda di accertamento del diritto alla conservazione del rapporto di impiego, diritto di cui i ricorrenti prospettano la lesione per effetto dell'applicazione della norma sospettata di illegittimità costituzionale.
3. La questione, però, deve essere dichiarata inammissibile per la parte che riguarda l'indicazione, quali parametri che si assumono violati, degli artt. 35 e 36 della Costituzione, in quanto viene enunciata dal rimettente senza alcuna motivazione specifica (ex multis, ordinanze n. 149 del 2005, n. 318 e n. 156 del 2004).
4. Con riferimento, dunque, al solo parametro dell'art. 3 della Costituzione, ai fini dell'esame nel merito della questione sollevata dal giudice a quo, è opportuno procedere ad una ricognizione della disciplina che regola la fattispecie, con la precisazione che restano estranee allo scrutinio di costituzionalità tutte le questioni relative alla disciplina della materia contenuta in atti di contrattazione collettiva per le varie categorie di personale della scuola, quale che sia la funzione svolta o il profilo professionale di appartenenza.
4.1. La norma sospettata di illegittimità costituzionale si inserisce nell'ambito della disciplina della dispensa dal servizio per assoluta e permanente inidoneità fisica o incapacità o persistente insufficiente rendimento del personale docente e dei dirigenti, di cui all'art. 512 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado). Analoga disposizione, di carattere generale per tutto il personale del pubblico impiego, è contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), il quale all'art. 71 stabilisce che, scaduto il periodo massimo di aspettativa per infermità previsto dall'art. 68 o dall'art. 70 dello stesso decreto, l'impiegato che risulti non idoneo per infermità a riprendere servizio è dispensato ove non sia possibile utilizzarlo, su domanda, in altri compiti attinenti alla sua qualifica.
Per il comparto della scuola (docenti, dirigenti e impiegati), per effetto degli artt. 514 e 579 del d.lgs. n. 297 del 1994, il personale dichiarato inidoneo all'espletamento della propria funzione per motivi di salute può, a domanda, essere utilizzato in altri compiti.
Va, inoltre, ricordato che gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001, richiamati dal giudice a quo come parametri interposti, hanno disciplinato, rispettivamente, le "eccedenze di personale" e la "mobilità collettiva" (art. 33), da un lato, e la "gestione del personale in disponibilità" (art. 34), dall'altro.
Dette norme, in connessione anche con il successivo art. 34-bis, dispongono, tra l'altro, che:
a) la riduzione del personale eccedente può avvenire secondo una procedura, che coinvolga le organizzazioni sindacali, rigidamente disciplinata; procedura che si conclude ove il personale in esubero non possa essere impiegato diversamente nell'ambito della medesima amministrazione ovvero ricollocato presso altre amministrazioni con il collocamento in disponibilità per la durata massima di ventiquattro mesi;
b) il personale in disponibilità è iscritto in appositi elenchi (art. 34, comma 1) tenuti dal Dipartimento della funzione pubblica per i dipendenti lato sensu statali (comma 2) e dalle strutture regionali e provinciali, di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 (Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59) per gli altri dipendenti pubblici; entrambe le suindicate strutture hanno il compito di provvedere alla riqualificazione professionale dello stesso personale ed alla ricollocazione degli interessati presso altre amministrazioni, collaborando e coordinandosi tra loro;
c) decorso infruttuosamente il periodo di ventiquattro mesi, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto.
4.2. Quanto alla giurisprudenza di questa Corte, va ricordato che con sentenza n. 3 del 1994, nel pronunciare l'illegittimità costituzionale dell'art. 132, primo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957 (nella parte in cui non prevedeva la riammissione in servizio per chi fosse stato dispensato per motivi di salute), la Corte ha affermato che "la dispensa per motivi di salute si fonda su una situazione (lo stato di infermità) la quale (&) è ovviamente indipendente dalla volontà dell'interessato per cui certamente esula dal provvedimento una valutazione negativa del comportamento dell'impiegato (e comunque qualsiasi profilo sanzionatorio)". Va ricordato, altresì, come la Corte, con la sentenza n. 212 del 1983, nell'esaminare gli effetti dell'assenza dal servizio per infermità del docente non di ruolo, ha affermato che "in tutto l'ambito della pubblica amministrazione non è mai riconosciuto all'impiegato il diritto ad un'assenza illimitata dal servizio a causa d'infermità; è sempre stabilito, invece, un periodo più o meno lungo, decorso il quale, ove l'impiegato non sia in grado di riprendere servizio, si fa luogo alla cessazione del rapporto d'impiego, applicando, secondo i casi, gli istituti all'uopo preordinati (collocamento a riposo per motivi di salute, dispensa dal servizio per inabilità fisica, licenziamento, ecc.)".
Va ricordato, infine che, con sentenza n. 388 del 2004, questa Corte ha avuto modo di affermare che "l'art. 34 del d.lgs. n. 165 del 2001 enuncia esplicitamente il principio per cui il personale in esubero presso pubbliche amministrazioni, sia statali che locali, deve poter essere ricollocato durante il periodo di mobilità presso altre amministrazioni sia per evitare la cessazione definitiva del rapporto di lavoro sia anche per realizzare, in termini globali, un contenimento della spesa per il personale".
4.3. Dall'esame delle richiamate disposizioni normative, dunque, e dalla giurisprudenza di questa Corte emerge con chiarezza che sussiste un principio generale, nell'ordinamento del pubblico impiego, in forza del quale il personale inidoneo al servizio per ragioni di salute, prima di essere dispensato, deve essere posto nelle condizioni di continuare a prestare servizio nell'assolvimento di compiti e funzioni compatibili con le sue condizioni di idoneità fisica. Soltanto nel caso in cui non sia possibile tale utilizzazione, o per ragioni di carattere oggettivo o per scelta dell'interessato, ne è disposto il collocamento a riposo d'autorità.
5. Tanto rilevato, deve essere esaminata la questione di legittimità costituzionale della norma impugnata per asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione in ragione della ingiustificata disparità di trattamento che sussisterebbe tra il personale docente, da un lato, e il personale dirigente e amministrativo, tecnico ed ausiliario, dall'altro.
Secondo, infatti, la prospettazione formulata dall'ordinanza di rimessione, tale disparità di trattamento deriverebbe sia dalla impossibilità di applicare al personale docente le disposizioni degli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001, sia dalla sussistenza in ordine al medesimo personale di una disciplina differenziata, in senso sfavorevole, rispetto a quanto previsto per i dirigenti e per il personale ATA.
5.1. La questione non è fondata.
5.2. Quanto al primo profilo, si può osservare che gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001 attengono ad istituti diversi, strutturalmente e funzionalmente, rispetto a quello interessato dalla norma sospettata di illegittimità costituzionale.
5.3. In merito poi alla denunciata disparità di trattamento del personale docente rispetto al personale dirigente e al personale ATA, in ragione della previsione solo per i primi della risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 35, comma 5, della legge n. 289 del 2002, va osservato che le indicate tipologie di personale versano in una situazione di stato giuridico che non ne consente l'assimilazione in una unica categoria, con la conseguenza che non è irragionevole la previsione di una diversa disciplina in materia.
Il Titolo I della Parte III del d.lgs. n. 297 del 1994 (artt. da 395 a 541), la cui rubrica reca Personale docente, educativo, direttivo e ispettivo, agli artt. 395 e 396 definisce in maniera specifica la funzione docente (intesa come esplicazione essenziale dell'attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità), rispetto alla funzione direttiva (prevedendosi per questa che "il personale direttivo assolve alla funzione di promozione e di coordinamento delle attività di circolo o di istituto; a tal fine presiede alla gestione unitaria di dette istituzioni, assicura l'esecuzione delle deliberazioni degli organi collegiali ed esercita le specifiche funzioni di ordine amministrativo, escluse le competenze di carattere contabile, di ragioneria e di economato, che non implichino assunzione di responsabilità proprie delle funzioni di ordine amministrativo"). L'art. 25 del d.lgs. n. 165 del 2001, al comma 1, prevede, poi, che nell'ambito dell'amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonomia a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e successive modificazioni ed integrazioni. I dirigenti scolastici sono inquadrati in ruoli di dimensione regionale e rispondono, agli effetti dell'articolo 21, per i risultati conseguiti, che sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica regionale.
Quanto alla disciplina del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (personale ATA), essa è contenuta nel Titolo II della Parte III (artt. da 542 a 580) del d.lgs. n. 297 del 1994.
In particolare, per il personale in questione l'art. 579, comma 1, prevede che "gli impiegati appartenenti al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, se riconosciuti permanentemente non idonei agli specifici compiti del ruolo di appartenenza, possono essere trasferiti, a domanda, con decreto del provveditore agli studi, su parere favorevole del consiglio di amministrazione provinciale, sempre che vi sia disponibilità di posti, in altro profilo professionale della medesima qualifica funzionale per i cui compiti sia loro riconosciuta la necessaria idoneità".
Alla luce delle citate disposizioni è palese che il giudice a quo muove dall'erroneo convincimento che le tre categorie di personale, che operano nel mondo della scuola (personale docente, dirigente e ATA), siano riconducibili ad una medesima disciplina di stato giuridico, con la conseguenza che sarebbe ingiustificata una diversa regolamentazione in ordine alle modalità e alla durata del trattenimento in servizio in caso di riconosciuta inabilità allo svolgimento delle rispettive funzioni di istituto per motivi di salute.
Il presupposto di tale convincimento non corrisponde al dato normativo, il quale si caratterizza per discipline di stato giuridico distinte per le tre categorie. Si tratta, infatti, di categorie che presentano sostanziali diversità di funzioni, che giustificano la differenziata valutazione operata dal legislatore con scelta discrezionale non irragionevole in ordine al collocamento fuori ruolo e all'assegnazione a compiti diversi da quelli inerenti alla qualifica di appartenenza originaria. Non può, quindi, essere affermata l'esistenza di quella identità di situazioni giuridiche, rispetto alle quali la disciplina impugnata sia idonea a determinare una disparità di trattamento rilevante agli effetti dell'art. 3 della Costituzione.
Inoltre, in un complessivo quadro di misure volte alla razionalizzazione delle risorse finanziarie per la scuola e nell'ambito di una politica generale di contenimento della spesa, trovano giustificazione norme dirette alla più proficua utilizzazione del personale che, pur non idoneo per ragioni di salute all'espletamento della funzione docente, può essere ancora proficuamente utilizzato in altre funzioni, previo il transito presso altre strutture organizzative pubbliche. Né è senza significato che il comma 6 dello stesso art. 35 oggetto di censura stabilisca che "per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario dichiarato inidoneo a svolgere le mansioni previste dal profilo di appartenenza non si procede al collocamento fuori ruolo" e che "i collocamenti fuori ruolo eventualmente già disposti per detto personale cessano il 31 agosto 2003".
Alla luce, pertanto, delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice rimettente in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2003), sollevata, in riferimento agli articoli 35 e 36 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, comma 5, della predetta legge n. 289 del 2002, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2005.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA