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Cidi: La manovra economica: a pagare sarà soprattutto la scuola pubblica

di Sofia Toselli

05/07/2008
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Il ministro Gelmini quando ha presentato al Parlamento le linee del suo programma si è avvalsa dei dati delle indagini OCSE PISA - quelle che misurano le competenze dei quindicenni in ambito matematico, scientifico, nella lettura e nella soluzione di problemi - a dimostrazione che in Europa peggio di noi stanno solo la Grecia e il Portogallo.
Il Ministro non aveva tralasciato di citare anche i dati Iea Pirls (relativi alla capacità di lettura dei bambini di 9 anni) a testimonianza del buon funzionamento della nostra scuola elementare: "siamo secondi, in Europa, solo a Russia e Lussemburgo". E diceva che: "dai posti più bassi delle classifiche l'Italia può e deve risalire...non possiamo rassegnarci di fronte al dato preoccupante della dispersione scolastica: è un dovere cui siamo chiamati, non solo dal protocollo di Lisbona, ma dalla garanzia che dobbiamo dare alle nuove generazioni di avere a disposizione tutti gli strumenti atti ad affrontare il futuro... è l'ora del buon senso, del pragmatismo e delle soluzioni condivise e che pur di fronte alla necessità di riqualificare la spesa pubblica la scuola è pur sempre una priorità, non può essere considerata un capitolo di bilancio qualsiasi. Da essa dipende il futuro del Paese".
Ma il ministro Tremonti nel decreto collegato alla Finanziaria, votato a fine giugno dal Consiglio dei Ministri, introduce tagli mai visti proprio sulla scuola.
La Gelmini perciò si rimangia tutto e nell'intervista al Sole 24 Ore avverte che "la scuola è prima di tutto un servizio, di cui dobbiamo abituarci a contenere i costi" e poiché "in Italia abbiamo circa 200 mila docenti in più della Germania che ha 20 milioni di abitanti in più dell'Italia" condivide quella che sarà la dura manovra di Tremonti.
Eppure il Ministro dell'Istruzione, proprio per il ruolo che svolge, avrebbe avuto il compito di far capire alla sua compagine governativa che la scuola non è un servizio, ma una istituzione della Repubblica con un preciso mandato costituzionale; e che la priorità strategica per il Paese è di elevare la qualità e l'efficacia del sistema scolastico anche con adeguati e coerenti investimenti. Aumentare il numero dei diplomati, ridurre la dispersione, innalzare i livelli di istruzione della popolazione sono pressanti necessità non solo per i richiami che vengono dall'Europa e perché l'istruzione è un diritto inalienabile di ogni persona, ma perché è l'unica risposta possibile per far ripartire l'economia italiana e ricominciare a guardare con più tranquillità e sicurezza al futuro.

Un importante studio della Banca d'Italia dimostra come risparmiare sulla scuola produca notevoli danni sociali e, conseguentemente, ripercussioni negative di carattere economico ben più onerose di quanto sia l'investimento per migliorarne efficacia e qualità.
Perciò una politica di tagli così drastica è ingiustificata, sbagliata e pericolosa perché farà inceppare il funzionamento del sistema e produrrà danni sociali ed economici di serio rilievo.
Questo avrebbe dovuto dire la Gelmini, questo la scuola si sarebbe aspettata dal suo Ministro.
Al di là delle dichiarazioni, dunque, ci sono i fatti. E i fatti ci dicono che ci saranno 190 mila unità (fra docenti e personale ATA) in meno. In tre anni un risparmio di quasi 8 miliardi di euro e l'intero assetto del sistema scolastico revisionato: dai contenuti, ai quadri orari, agli ordinamenti. Una sorta di riforma che passerà attraverso la manovra economica del Governo.
La scuola indubbiamente ha molti problemi, alcuni dei quali seri e impegnativi, sui quali urgentemente occorre intervenire ed ha probabilmente bisogno di razionalizzare alcuni sprechi, ma non è in questo modo che si attuerà l'obiettivo di un sistema scolastico migliore, più efficace, di maggiore qualità.

Avremo infatti:
più alunni per classe, in una situazione in cui - salvo eccezioni - le condizioni di lavoro dei docenti sono già molto difficili (lo stress da lavoro degli insegnanti è facilmente verificabile). In un contesto che non è affatto di privilegio, come si vuol far credere e come lo stesso Quaderno Bianco ha dimostrato. In Italia il rapporto insegnanti/alunni è più alto di quello europeo per le particolari condizioni geofisiche del nostro paese (isole e montagne); per il sostegno agli alunni diversamente abili e per il loro inserimento in classi meno numerose; per gli insegnanti di religione cattolica; per il tempo pieno e prolungato;

meno tempo scuola obbligatorio, in un momento in cui studi internazionali ci dicono che deve aumentare il tempo scuola per tutti;

il ritorno al maestro unico, laddove l'indagine Iea Pirls (che la Gelmini citava) dimostra che la nostra scuola primaria funziona bene così com'è;

meno educazione per gli adulti, pur in presenza di studi che attestano l'importanza, nella lotta alla dispersione, di riqualificare i sistemi di educazione per adulti, perché i livelli di istruzione dei genitori influenzano in modo determinante i risultati scolastici dei figli.

Paradosso della modernità? Fatto sta che a fronte di una aumentata richiesta educativa, a fronte delle maggiori domande che la società rivolge alla scuola, anziché investire sul sistema di istruzione, lo si sceglie come settore utile a riorganizzare la spesa pubblica.
Così si darà finalmente corpo al pensiero di quanti hanno detto e scritto, specie in quest'ultimo anno, che gli insegnanti sono troppi, spesso fannulloni, assenteisti, non sottoposti a controllo e, per quel che fanno, più che pagati. E si darà gambe all'idea di quanti pensano che perché un Paese cresca in produttività, non è importante che tutti studino: è sufficiente che un terzo della popolazione consegua alti e qualificati livelli di istruzione, per tutti gli altri, con scarsi strumenti culturali e critici, ci saranno le sconfinate praterie del consumo.
Vogliamo scommettere che ci sarà anche e presto un pullulare di scuole private?
Ma dall'opposizione, però, c'è ancora troppo silenzio


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