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Chi decide i posti in classe il professore o gli studenti ?

Circolare di Londra: non lasciateli liberi. Esperti perplessi

05/09/2014
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Corriere della sera

La soluzione all’irruenza degli studenti potrebbe essere comiciare a far scrivere le frasi alla lavagna a quelli più pestiferi, come fa Bart Simpson: «Non griderò “al fuoco” in una classe affollata». Un altro sistema, di sicuro effetto secondo il sottosegretario all’Educazione inglese, Lord John Nash, dei Tory, è quello di non far scegliere agli allievi il posto in cui sedersi, evitando così le «cricche» di quartiere, capannelli di chiacchieroni e ultime file trasformate in trincee da teppisti in erba.
Le indicazioni del ministero inglese seguono i risultati del sondaggio che avverte: un insegnante su tre della scuola media non ha fiducia nella propria capacità di mantenere la disciplina in classe. Le linee guida servono quindi a suggerire ai professori gli strumenti essenziali per far rigare dritti i loro ragazzini. Come punirli, per esempio? Con i lavori socialmente utili: pulire il parco oppure cancellare i graffiti. E poi basta con l’approccio morbido alla didattica: le poesie si devono imparare a memoria già a cinque anni, e undici anni è l’età giusta per cominciare a fare i test di matematica senza usare la calcolatrice. Ancora, l’informatica deve far parte del programma scolastico dai cinque ai 14 anni e le lingue straniere bisogna impararle già alle elementari.
«Un invito al rigore giustificato dai problemi sociali del Paese, e di Londra in particolare, che si trova nella condizione di alcune città statunitensi, come Washington o New York, con un grosso problema di controllo dei comportamenti», avverte Lucio Guasti, già presidente dell’Indire, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica. «Insomma, è un provvedimento legato al forte disagio comunitario, ma credo che questi provvedimenti siano totalmente marginali rispetto alla sostanza».
Impedire a un alunno di scegliere il banco in cui sedersi non sembra una grande idea a uno come Eraldo Affinati, scrittore e insegnante alla Città dei Ragazzi di Roma. Nel suo Elogio del ripetente , pubblicato l’anno scorso con Mondadori, ha scelto proprio il punto di vista dell’adolescente che ha fallito. «Soltanto lui può aiutarci a capire dove noi adulti abbiamo sbagliato», spiega. Ammette di aver da sempre una predilezione per quelli che si siedono in ultima fila. «Sono i miei preferiti: come diceva don Milani, la scuola non deve essere un ospedale che vuole curare i sani, ma i malati». Né, in trent’anni di esperienza con i ragazzi più difficili, gli è mai passato per la testa di separare forzatamente qualcuno. «È diverso spostare quelli che chiacchierano, ma anche lì dipende dalle situazioni. Il punto è che quando si parla di educazione le norme generali valgono poco. Semmai, un insegnante deve cercare di essere maestro e amico, vale a dire condividere gli sconforti degli studenti, ma stabilire il limite da non superare».
Senza entrare nel merito delle indicazioni inglesi, la psicopedagogista dell’Università Bicocca di Milano, Susanna Mantovani, considera questi temi «niente affatto irrilevanti»: «Riflettono preoccupazioni che stiamo vivendo in tutto il mondo. Mi piacerebbe che gli insegnanti ne discutessero e che la scelta del posto diventasse oggetto di dibattito, ma non per arginare i teppistelli, piuttosto per porci delle domande sul percorso educativo. A volte succede a me di dover chiedere ai miei studenti di venire avanti dai posti in fondo, e siamo all’Università. Però non direi mai: tu stai lì e tu spostati là. Di per sé è una cosa stupida».
Quando si parla della relazione educativa c’è sempre un pendolo che oscilla tra la totale libertà dei ragazzi e l’autoritarismo degli insegnanti. «La scelta migliore è l’assertività dei docenti», suggerisce Pierpaolo Triani, pedagogista della Università Cattolica di Piacenza. Per lui è giusto che gli insegnanti scelgano la disposizione degli studenti. «Purché non diventi un’arma di potere. Mentre ha senso che il docente si assuma la responsabilità della gestione delle dinamiche di relazione all’interno della classe, magari facendo ruotare i bambini per sfruttare il miglior contributo di ciascuno».
Elvira Serra

 


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