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«Che sorpresa vedere i ragazzi battersi per tornare tra i banchi Ne usciranno più forti di prima»

L'intervista. Eraldo Affinati

19/01/2021
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Il Messaggero

Si moltiplicano scioperi e manifestazioni in tutta la penisola, studenti armati di striscioni - e con indosso le mascherine - che chiedono di poter tornare alla didattica in presenza. Un paradosso? «Si tratta di una reazione assolutamente comprensibile, un desiderio di normalità in una situazione surreale», afferma l'insegnante e scrittore romano Eraldo Affinati (1956), da sempre attento osservatore del mondo che ruota attorno alla scuola. Per anni ha insegnato letteratura presso la Città dei Ragazzi e nel 2008 - con Anna Luce Lenzi - ha fondato a Roma la Scuola Penny Wirton, in cui insegna gratuitamente la lingua italiana ai migranti, coinvolgendo anche i ragazzi dei licei romani. E oggi, guardando al futuro, Affinati ribalta la prospettiva: «questa esperienza pandemica rafforzerà i ragazzi ma sarà compito degli educatori aiutarli a tirare fuori il meglio».
Affinati, oggi gli studenti proclamano il desiderio di poter tornare a scuola. Un paradosso?
«Si tratta di una reazione assolutamente comprensibile. Stare ore di fronte allo schermo del computer, chiusi in casa, senza poter incontrare fisicamente i propri amici, è sempre difficile. Per un adolescente lo è due volte di più. Ecco la sorpresa: un tempo Pinocchio non esitava a vendere l'abbecedario pur di marinare la scuola e procurarsi il biglietto per vedere lo spettacolo di Mangiafuoco. Oggi, invece, farebbe carte false per sedere fra i banchi. Credo che noi adulti dovremmo mettere a frutto questa lezione quando torneremo alla normalità».
Ieri, al liceo Ginnasio Visconti di Roma, una trentina di studenti ha esposto uno striscione: Visconti in sciopero per sicurezza e futuro. Maturità 2021: di che morte moriremo?. La scuola italiana è sempre avvolta dall'incertezza?
«Sicurezza e futuro mi sembrano due richieste sacrosante: come potremmo non essere d'accordo? Cerchiamo di vedere gli aspetti positivi in questa situazione francamente drammatica: non si è mai parlato tanto di scuola come adesso. Anzi, mi auguro che si possa continuare a farlo anche quando l'emergenza sarà finita».
La scuola è tornata ad essere centrale nel dibattito politico?
«Dovrebbe esserlo. L'istruzione nazionale non è soltanto una questione di voti, pagelle, programmi e titoli di studio. La scuola è una delle più grandi invenzioni umane, non esiste in natura, proprio come il matrimonio, la famiglia e i codici giuridici. È il luogo di transito e creazione del pensiero, dove si elabora la tradizione culturale, il principale strumento di custodia e formazione della coscienza dei futuri cittadini, indispensabile presidio etico per le nuove generazioni. La scuola oggi è l'unico spazio in cui i giovani dialogano con adulti che non appartengano alla propria sfera familiare. La scuola è una organizzazione che vede coinvolte milioni di persone, impegnate a consegnare il testimone della storia. Per tali motivi, non possiamo permetterci di avere atteggiamenti disinvolti e sbrigativi nei suoi confronti».
Invece?
«Francamente speravo che la pandemia contribuisse a favorire proprio questa consapevolezza, invece la scuola continua ad essere uno strumento di mera lotta politica. A mio avviso non dovrebbe essere così perché si tratta di un bene comune di cui tutti dovremmo aver cura».
E in questo frangente la Penny Wirton come si sta organizzando?
 «Facciamo lezioni gratuite di lingua italiana agli immigrati, adesso on line, in ogni parte del Paese. In particolare, a Roma coinvolgiamo centinaia di volontari. È importante sottolineare la partecipazione dei liceali come docenti a titolo gratuito e in questo momento sono coinvolti studenti dei Licei Albertelli, Augusto, Newton e Giulio Cesare. L'entusiasmo di questi giovani, impegnati nei percorsi per le competenze trasversali - l'ex alternanza scuola lavoro - e il modo in cui si mettono in gioco di fronte ai loro coetanei africani, arabi e asiatici, mi rinfranca e rassicura».
Gli adolescenti odierni sono figli della crisi globale del 2008 e ora attraversano la pandemia. Emotivamente, cosa significa?
  «Io sono certo che la crisi odierna li vedrà uscire migliori di prima: anche se adesso stanno perdendo competenze, in futuro questa esperienza li rafforzerà. Ma dovremo essere noi educatori a tirar fuori il meglio da loro».
E con che animo guarderanno al tempo che verrà?
«Dopo aver provato sulla loro pelle cosa significa vivere nella solitudine informatica, sono certo che saranno in grado di dare più valore a quel senso di comunità che oggi latita».
Francesco Musolino


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