Cervelli in fuga e fondi bloccati. Così il crac del San Raffaele rischia di affossare la ricerca
L´istituto di don Verzé è al primo posto in Italia per pubblicazioni scientifiche
"Eravamo una meta ambita, ora temiamo per il futuro"
ELENA DUSI
ROMA - Il crac del San Raffaele non si abbatte su un´istituzione qualsiasi. Nella tempesta giudiziaria rischia oggi di smarrirsi il più importante istituto di ricerca e cura a carattere scientifico in Italia: primo per pubblicazioni (quasi tre ogni giorno) e pioniere di sperimentazioni di frontiera, dalla terapia genica alle cellule staminali.
«Non abbiamo responsabilità per quanto sta accadendo e sarebbe ridicolo pensare che abbiamo goduto di privilegi» precisa Michele De Palma, uno dei giovani più brillanti, che si occupa di ricerca sui tumori e da gennaio lavorerà al Politecnico di Losanna. Le attività scientifiche infatti (55 milioni all´anno) vanno avanti con fondi ministeriali, europei o provenienti da fondazioni. Ma anche se i soldi sono distinti dalle casse del San Raffaele, la gestione spetta alla Fondazione. Ecco perché il crac sta facendo vivere momenti difficili a un pilastro della ricerca in Italia.
Per tre mesi in estate e autunno i fornitori hanno bloccato le consegne di reagenti e altro materiale essenziale per i laboratori. I milioni del 5 X mille difficilmente affluiranno nelle casse di un ente che per mesi ha fatto parlare di sé a causa dei fondi neri. Due ricercatori fra i più prestigiosi da gennaio lasceranno Milano. E anche se Giulio Cossu (direttore della divisione di medicina rigenerativa, cellule staminali e terapia genica, arruolato a Londra dall´University College) e Michele De Palma hanno preso la loro decisione più di un anno fa, è chiaro che nessuno oggi è disposto a rimpiazzarli. «Conosco il caso di un ragazzo molto promettente pronto a venire a Milano» racconta Cossu. «Ora ha congelato la sua decisione. Per un giovane sbagliare scelta vuol dire compromettere il futuro».
Matteo Iannacone ha deciso di lasciare il suo laboratorio di Harvard per lavorare al San Raffaele nella divisione di immunologia giusto a novembre del 2010. «A Milano ho trovato strutture che nemmeno negli Usa avevo a disposizione» racconta. «Ma dopo è arrivata la tempesta. Ho avuto un paio di proposte all´estero e ho deciso di esplorarle. Così hanno fatto altri miei colleghi». La preoccupazione infatti è endemica nella magnificente struttura costruita da don Luigi Verzè. Ma prima di alzare le vele, tutti aspettano di capire la natura della new company che prenderà le redini del San Raffaele. L´attesa dovrebbe limitarsi a qualche settimana. Poi verrà il tempo delle decisioni. «Non possiamo permetterci che lo stallo duri mesi o anni» dice Iannacone.
«Le forniture dei materiali oggi sono tornate regolari» racconta Luigi Naldini, a capo della divisione di terapia genica. «E non mi preoccupa nemmeno la partenza dei colleghi. Fare nuove esperienze fa parte del nostro mestiere. Quel che è grave è che nessuno in questo momento abbia voglia di venire a lavorare da noi. L´istituto ha perso potere negoziale e credibilità. La nuova gestione, qualunque essa sia, deve subito far ripartire i motori». La storia di Luca Guidotti, a capo del centro dello studio per il fegato, dimostra quale fosse il potere di attrazione del San Raffaele fino a pochi mesi fa. Arrivato a Milano a primavera del 2010, dopo 21 anni in uno Scripps Institute che lui stesso definisce «cattivissimo e competitivo», Guidotti è abituato alle parole chiare: «Per noi fermare un laboratorio per 4-5 mesi significa perdere 2 o 3 anni di competitività rispetto agli altri gruppi di ricerca. Semplicemente non ce lo possiamo permettere. Se domani la California piuttosto che Shanghai ci offriranno condizioni migliori, partiremmo senza esitazioni».
Anche se sub judice, la fiducia dei ricercatori nei confronti del San Raffaele non è comunque scomparsa. «L´istituto resta una preda ambita» prosegue Guidotti. «Fra qualche settimana capiremo se varrà la pena restare o fare le valigie». Lo scienziato non dimentica che il San Raffaele gli ha permesso di portare apparecchiature «che nemmeno gli Usa erano disposti ad accogliere». Si tratta di microscopi ultra-potenti che riescono a osservare il funzionamento delle cellule in vivo: «Ogni apparecchio costa 600-700 mila euro (provenienti dall´European Research Council) e va montato sottoterra su tavoli pesanti 5 tonnellate per evitare vibrazioni. In tutto, le infrastrutture del nostro laboratorio sono costate circa 2 milioni. Provengo da uno dei poli della ricerca mondiale, ma finora non avevo mai trovato il San Raffaele inferiore a nessuno».