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Carta-UNA NUOIVA STORIA AL CONGRESSO CGIL- di Enrico Panini

Da metà ottobre sono in corso le assemblee congressuali della Cgil che coinvolgeranno cinque milioni di iscritte ed iscritti. Il più grande sindacato d'Europa va al suo XV° Congresso con un documen...

02/11/2005
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Carta

Da metà ottobre sono in corso le assemblee congressuali della Cgil che coinvolgeranno cinque milioni di iscritte ed iscritti. Il più grande sindacato d'Europa va al suo XV° Congresso con un documento unitario a tesi nel quale si sostiene, fra l'altro, la cancellazione della Legge Moratti (Tesi 4.7); l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni (Tesi 4.7); un intervento complesso su università e ricerca (tesi 4.8). Sono i punti del Programma sulla conoscenza elaborato dalla FLC in sei mesi di ricerca e discussione.
Tutto ciò, come indica il tema del Congresso, perché bisogna "Riprogettare il Paese" ed in questa operazione "Lavoro, saperi, diritti, libertà" sono valori fondamentali. Non ci sono precedenti nella storia del movimento operaio di una tale determinazione.
La FLC va al suo I° Congresso presentando una elaborazione molto innovativa, in discontinuità con una parte consistente delle esperienze precedenti, e che parte dall'affermazione che la conoscenza è un bene comune per la pace, la democrazia e lo sviluppo sostenibile.
Da questa affermazione derivano alcune conseguenze nette.
La non neutralità della conoscenza, intendendo in questo l'abbandono di una visione progressiva del sapere a favore invece di una sua assunzione politica che ne delinea le caratteristiche di crinale verso il quale le risposte non sono né scontate né indifferenti.
Poi, l'affermazione che la conoscenza è un bene comune e, come tale, irriducibile ad una sua mercificazione, riduzione, privatizzazione.
Infine, la rivendicazione di uno "spazio pubblico della conoscenza", coerente con i principi della nostra Costituzione, che rilancia il ruolo e la responsabilità della politica verso tutti i suoi cittadini ma che intende, contemporaneamente, sottolineare l'importanza dei territori e dei luoghi nei quali si lavora.
Sperimenteremo in questi mesi un percorso nuovo, avendo affiancato all'iter "classico" appuntamenti congressuali tematici tipici delle esperienze di altri paesi, durante il quale produrremo confronto in preparazione delle relative deliberazioni congressuali conclusive, in particolare, sui temi della proprietà del sapere, dei brevetti, del che cosa e come studiare, del precariato.

Da un po' di tempo nel nostro Paese è faticoso riuscire a parlare di sapere e conoscenza. Sono anni difficili perché, in conseguenza della politica e dell'azione del Ministro Moratti, siamo stati impegnati in una lotta di resistenza che, spesso, ha dovuto sacrificare una riflessione di lungo respiro.
E' da più tempo, invero, che non riusciamo a leggere ed interpretare le onde lunghe attraverso le quali l'affermarsi del neoliberismo e la sua pervasività mutavano il segno degli apparati formativi. In diversi paesi si sta affermando un accesso al sapere non più pensato come una leva per ridurre le differenze, ma ricondotto ad elemento di sanzione delle differenze, mentre si tenta di rendere l'insieme del sistema culturale e informativo strumento di costruzione del consenso ai valori del mercato.
Il risultato di tutto questo è un impoverimento generale delle persone, una riduzione della democrazia, una perdita di valore.

In buona parte del mondo si sta chiudendo una fase dello sviluppo scolastico ed universitario, quello dell'accesso di massa mentre se ne è aperta un'altra: quella dell'accesso selettivo al sapere e della sua distribuzione ineguale.
Sono in difficoltà i paradigmi con i quali per almeno vent'anni abbiamo analizzato la situazione dell'istruzione e dell'università.
Basti pensare che l'università, strangolata dalla forte riduzione dei fondi trasferiti dallo stato, ormai vive buona parte della propria attività in funzione della ricerca di finanziamenti in ciò abbassando frequentemente la soglia di vigilanza anche verso iniziative molto discutibili o alimentando un mercato sempre più oneroso e selettivo.
Da questo punto di vista il ministero Moratti non è una sorta di "cisti" su un tessuto sano. Moratti rappresenta l'estrema degenerazione di un modo tipico del neoliberalismo di muoversi verso i sistemi scolastici.
L'azione neoliberale si basa sul fatto che ci sia un problema di efficienza ed efficacia anziché una crisi di estensione dei servizi offerti; che gli stati non siano più in grado di gestire politiche scolastiche positive; che il cittadino debba essere considerato come una risorsa e come un consumatore e che come tale deve poter scegliere; che bisogna promuovere la capacità di competere.
In sintesi, per dirla con Pablo Gentili, si vuole trasferire la conoscenza dalla sfera della politica alla sfera del mercato, negandole l'attributo di diritto sociale e trasformandola in una possibilità di consumo individuale, variabile, appunto, secondo il merito e la capacità dei consumatori.

Negli ultimi decenni abbiamo spesso incontrato, nella migliore delle ipotesi, una sorta di "buonsenso tecnocratico" fatto di norme, regole, procedure che hanno portato a perdere di vista i valori fondanti una nuova idea di istruzione e formazione che, ben lungi dall'abbandonare la sua ambizione di essere di massa e qualificata, oggi non può che essere fortemente centrata sulla dimensione democratica e sulla capacità di governare la crescita enorme di informazione, i profondi cambiamenti avendo i paradigmi per poter scegliere ed esercitare un pensiero critico. Una democrazia sostanziale non può che basarsi su un grande investimento sulla conoscenza intesa come un arco di volta che garantisce all'intera popolazione gli strumenti per capire e gli strumenti per continuare a crescere, lungo tutto l'arco della vita.
Eppure in questi anni il tentativo neoliberista ha registrato una forte resistenza.
Basti osservare che oltre che da quello della pace questa legislatura è stata contrassegnata da un altro grande movimento, quello contro i provvedimenti Moratti. Capace, quest ultimo, di rovesciare i rapporti di forza e il consenso in una situazione nella quale il dato di partenza era fortemente squilibrato a favore della maggioranza governativa.
La necessità di ripensare radicalmente l'analisi della situazione attuale, la crescita di una forte domanda politica pongono sotto una nuova luce la necessità e l'urgenza di un programma politico sulla conoscenza.
Il rischio di trovarci di fronte a spinte adattive; il rischio che questo sentire diffuso nella società si infranga contro il continuismo, il pericolo di morire di troppo consenso perché se nessuno eserciterà un pensiero critico sull'importanza della scuola e dell'università difficilmente si troverà chi spontaneamente vorrà rimboccarsi le maniche e affrontare questi problemi: la costruzione di un sistema educativo e formativo inclusivo che elevi il livello culturale dell'intera popolazione e si ponga l'obiettivo di portare tutti all'accesso a quei saperi senza i quali cambia la qualità stessa della democrazia.

In questo quadro un programma politico sulla conoscenza per noi rappresenta una priorità ed esso deve essere in grado di scegliere sulla base di alcune forti discriminanti. Ne cito alcune.
- L'impegno a garantire una formazione scolastica obbligatoria lunga per mettere in grado le persone di fare i conti non solo con le trasformazioni strutturali (la rivoluzione nei tempi di vita, lavoro, riposo) ma con la crescita esponenziale del sapere e la sua deteriorabilità. L'obbligo scolastico fino a 18 anni diventa in questa ottica determinante per rafforzare la formazione di base..
- Un investimento sul sapere diffuso, in primo luogo sugli adulti, sicuramente l'anello più indifeso e a rischio in questa enorme rivoluzione tecnologica. Esposti all'analfabetismo, all'esclusione, al rischio di subalternità nei grandi processi di trasformazione, devono essere i destinatari di un grande progetto di formazione lungo tutto l'arco della vita.
- La ricerca di base come luogo privilegiato nel quale l'investimento politico sulla qualità e sostenibilità diventano gli assi di riferimento. Non esiste ricerca senza un forte intervento dello Stato. E' così persino in quei paesi dove i finanziamenti privati sono consistenti (come gli Stati Uniti), figuriamoci da noi.
- Triplicare il numero dei laureati in breve tempo per mettere in moto una massa critica di competenze da utilizzate come volano di una crescita qualificata e sostenibile per un paese che decide di investire sulla conoscenza.
Un programma rappresenta innanzitutto una scelta consapevolmente politica, per questo prima di tutto esso non può che essere coerente con il protagonismo sceso in campo in questi anni. Allora, la vera soluzione di continuità non può che essere rappresentata dalla scelta di discutere il programma con i lavoratori, i movimenti, la società perché la politica diffusa e partecipata torni a governare le grandi trasformazioni nel nostro paese.


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