Carta-CONOSCENZA, AUTONOMIA E LIBERTA' -di Enrico Panini
Conoscenza, autonomia e libertà La libertà rappresenta il tema all'ordine del giorno per "un altro sviluppo possibile" della conoscenza. La crisi degli attuali assetti scolastici, che riguarda tu...
Conoscenza, autonomia e libertà
La libertà rappresenta il tema all'ordine del giorno per "un altro sviluppo possibile" della conoscenza. La crisi degli attuali assetti scolastici, che riguarda tutti i paesi "sviluppati" me che è particolarmente grave nel nostro per l'incuria che ha caratterizzato la gestione della scuola da parte dei diversi governi che si sono succeduti negli anni 80 e 90 (un ragionamento in parte dIverso deve essere fatto per il precedente governo), e gli straordinari cambiamenti che abbiamo davanti nella comunicazione e nelle relazioni consegnano al tema della libertà un valore fondamentale.
Anzi, costruire le condizioni della libertà ridiventa il mandato della scuola del XXI secolo perché le politiche neoliberiste e la privatizzazione di pezzi consistenti del sapere, della cultura e sei servizi pubblici, ci consegnano la necessità di riproporre il tema della conoscenza come fortemente connesso alla libertà.
Non c'è libertà dietro alla selezione e agli abbandoni (ben lontani dall'essere affrontati e risolti), non c'è libertà nell'analfabetismo di ritorno, non c'è libertà nella crescente esclusione dalla conoscenza di masse sempre più consistenti di persone. In questo senso, diversamente da quanto sostiene l'Unione Europea, investire in istruzione non serve tanto sul versante del rafforzamento della competitività quanto per salvaguardare e far crescere la democrazia e per realizzare il protagonismo di ognuno nel proprio percorso di vita. Altrimenti la "dipendenza" da informazioni e contenuti preconfezionati da gruppi monopolistici e in una dimensione planetaria diventerà inestricabile.
E' urgente avviare una discussione sul programma per la conoscenza, soprattutto in previsione di un cambio di governo che ogni giorno è più urgente e auspicabile.
Deve essere chiaro e dichiarato al paese cosa ci si impegna a fare in una fase che vogliamo molto diversa dall'attuale ma nella quale i problemi da affrontare, a partire da quelli economici, saranno drammatici, per l'eredità che ci troveremo sulle spalle.
In questo percorso, il ruolo dei movimenti e della società è di assoluto rilievo. Contemporaneamente, il dibattito sulla scuola non può limitarsi solo al pronunciamento sull'abrogazione o meno della legge Moratti (sono un convinto sostenitore della prima tesi) eludendo sostanzialmente il nodo del progetto da mettere in campo. In ciò favorendo, di fatto, la tesi dell'immodificabilità dell'attuale sistema (che produce livelli di dispersione e di selezione particolarmente consistenti ed inaccettabili) o la tesi continuista per cui tutto si ridurrebbe a mettere in campo un qualche aggiustamento alla legge Moratti.
Una proposta programmatica sulla scuola non può essere costruita, per i tanti fatti che sono cambiati in questi anni, in continuità con la discussione che ha caratterizzato gli anni Novanta. In questo quadro programmatico, uno dei temi più importanti sarà rappresentato dalle scelte progettuali che la sinistra e il sindacato, nelle rispettive autonomie, saranno in grado di mettere in campo per quanto riguarda la scuola, l'università e la ricerca.
Io penso che la questione centrale di una proposta programmatica risieda nell'assumere il nesso autonomia-libertà come il punto di partenza per costruire ogni altra ipotesi programmatica. Ciò significa lavorare per far acquisire gli strumento per l'esercizio attivo di cittadinanza, quello che corrisponde al famoso spirito critico dei francesi. Siamo, quindi, di fronte innanzitutto a una questione di ordine politico più generale, non a un problema organizzativo o riducibile a pura ingegneria istituzionale. In questo contesto, un tema prioritario di riflessione è il rapporto fra la scuola e il territorio: così, a mio avviso, va declinato l'intreccio autonomia-libertà.
L'autonomia delle scuole non può che rappresentare una scelta di fondo del programma e, contemporaneamente, lo spazio concreto nel quale coniugare conoscenza e libertà.
Evidentemente mi riferisco a un'autonomia delle scuole ripensata rispetto ai tanti errori e limiti che ne hanno contraddistinto una prima applicazione, ma anche valorizzata in tutte le sue vitalità.
Libertà significa, sul versante dell'istruzione autonoma, grande responsabilità nel prendersi carico delle ragazze e dei ragazzi e del loro progetto di vita. Il questo senso, il nemico da battere è l'anonimato dei volti e delle storie, l'indifferenza rispetto ai risultati, considerare il sapere come un diritto che non necessariamente deve essere generalizzato, riducendolo a strumento di sanzione delle differenze sociali. Per queste ragioni, l'autonomia non può essere considerata come un insieme di procedure burocratiche. In una situazione nella quale le città sono invivibili anche per l'assenza di luoghi di aggregazione fuori dal mercato e nelle quali i punti di socializzazione sono sempre più legati al consumo,la scuola autonoma è chiamata a svolgere una funzione di moderna "piazza" nella quale tempi e relazioni si intrecciano in un modo antagonista a quanto accade "fuori".
Ecco perché la responsabilità diventa l'"I care" di Don Milani, l'occuparsene, e la scuola diventa esplicitamente, nel pensarsi come piazza, altro per quanto riguarda tempo e relazioni. La piazza moderna è luogo di ricerca, non di semplice trasmissione. In questo contesto, allora, la diversità è un valore e la difficoltà diventa una sfida da affrontare e non un inciampo da eliminare.
Bisogna scommettere sul rapporto con il territorio, sulle comunità.
Non vedo in ciò nulla di ostile a una nuova cittadinanza che ha i suoi confini più ravvicinati nell'Europa e che colloca l'orizzonte nel mondo globale. Il rapporto con il territorio, il ruolo della singola istituzione, diventano fondamentali per evitare il senso di estraniamento, di solitudine che spinge gli individui a pensarsi in confini sempre più dilatati in cui non si hanno né gli strumenti né i mezzi per capire, per governare questa nuova realtà. Infatti, la pratica concreta di "un altro mondo possibile" implica innanzitutto un grande sforzo di mediazione culturale. E' una risposta antagonista alla Lega e a tanto leghismo strisciante, per cui piccolo è rassicurante.
Il sistema di istruzione non potrà che avere i suoi vincoli nazionali in un mandato preciso di carattere costituzionale: garantire diritti alle persone, costruire le ragioni dello stare insieme nel nostro paese. Questo evita la frantumazione. La nuova piazza consente di costruire le radici, segmenta e rende forte e visibile il mandato nazionale. La percezione che i cittadini hanno delle istituzioni si caratterizza in due punti estremi: chi è culturalmente e socialmente forte e quindi presenta una domanda ben strutturata e fortemente individualista, e il gruppo culturalmente ed economicamente più debole che si affida completamente all'istituzione. L'anonimato delle istituzioni può essere spezzato se si costruisce una dimensione partecipata e, per molti versi, autogestita.
Il movimento nato in questi anni ha reso attuale e ha contribuito una pratica su un tema che ha ricevuto, e per certi versi continua a ricevere, giudizi molto contrastanti fra chi lo vede come un pericolo da evitare o chi lo ha assunto come il nuovo totem al quale tutto sacrificare.
Mi riferisco all'autonomia scolastica così come indicata nell'articolo 117 della nostra Costituzione. Ciò che le scuole hanno fatto e stanno facendo nel loro agire professionale non è neanche lontanamente ciò che dicono il ministro e un gruppo composito di benpensanti preoccupati che gli insegnanti abbiamo alzato la testa. Non è vero che le decisioni delle scuole sulla legge Moratti si basino sul mancato rispetto della legge. In genere, chi sostiene la tesi del mancato rispetto, che ha come corollario i provvedimenti disciplinari ampiamente minacciati dal ministero, a questa affermazione fa seguire questo ossessivo ritornello: "La legge 53 è legge e tutte le leggi vanno rispettate".
Nelle scuole, al contrario, si è cominciata a praticare l'autonomia scolastica, quella vera cioè sancita dalla Costituzione che la pone a confine fra le competenze dello Stato (al quale riserva la definizione delle norme generali, dei principi fondamentali e dei livelli essenziali di prestazione) e il potere delle regioni con le loro competenze su tutto il resto.
Così definita dalla Costituzione, l'autonomia scolastica trova fondamento nel principio di responsabilità affidato a una comunità tecnicamente competente e qualificata alla quale si riconosce una prerogativa piena, in rapporto con gli altri organi dello Stato. In questo senso, non siamo di fronte a una polverizzazione del sistema scolastico o a un'idea di autonomia Scolastica di stampo corporativo, cioè alla autodeterminazione delle proprie prerogative.
Tantissime scuole hanno confermato l'orario scolastico precedentemente adottato, senza distinguere fra materie che contano e materie che &incantano nell'attimo fuggente, perché l'autonomia scolastica consente loro di alzare il livello qualitativo del progetto una volta che l'orario essenziale è stato definito per legge. Considerazioni pressoché analoghe valgono anche per la sacrosanta scelta di non dare vita al tutor o di non adottare il libro di testo "conforme alla norma".
Se non ci fosse stata l'autonomia scolastica, la legge Moratti avrebbe trovato applicazione così come definita dai diversi provvedimenti attuativi. Esattamente come è accaduto, prima del 2001, per ogni provvedimento, bello o brutto che fosse.
In questi mesi è cresciuta e si è consolidata una consapevolezza molto diffusa e forte. Per un lungo numero di anni l'autonomia è stata argomento di più o meno brillanti convegni e seminari ed è passata "come l'acqua che scorre" su tante scuole.
Nella maggior parte dei casi c'è stato un incremento di attività aggiuntive, certo importanti ma sicuramente non centrali. Segno che i cambiamenti radicali non si costruiscono in laboratorio, né si modificano così i rapporti di forza. Va inoltre sottolineato che l'autonomia scolastica, definita prima del suo ingresso nella Costituzione, è stata realizzata in un contesto che non ha parlato né alle scuole né ai territori. Un'amministrazione ostile e rancorosa, un investimento di risorse e poteri concentrato sui capi di istituto, l'aumento del lavoro burocratico, con l'esplosione dei "progettifici" per gli insegnanti che hanno caratterizzato un processo debole e contraddittorio fatto più di evocazioni che di pratiche coerenti.
Il ciclone del movimento contro il ministro Moratti ha, in buona parte, cambiato queste condizioni e ci obbliga a ripensare strategicamente l'autonomia, considerando la pratica di questi anni come una soluzione di continuità rispetto alla fase precedente, anche per quanti pensano che, cambiato il governo, si possa tornare a un rapporto esclusivo fra le forze politiche escludendo ogni forma di partecipazione diretta delle persone. Questo movimento, e quello della pace, hanno costruito un approccio alla politica non comprimibile. Questo è, credo, un passaggio obbligato per cominciare a leggere che cosa è successo in questi mesi e cosa ci si aspetta in quelli futuri in una situazione nella quale una legge dello Stato non viene attuata in modo pedissequo. E quello scolastico è l'unico settore nel quale questo avviene, e ciò deve valere nelle considerazioni di un programma di governo di centrosinistra.
In conclusione, voglio usare le parole di Calvino nelle Lezioni americane "&la mia fiducia nel futuro della scuola consiste nel sapere che ci sono cose che solo la scuola può dare con i suoi mezzi specifici".