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Caro Barca, ecco cos'è il merito

Tito Boeri

21/04/2021
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La Stampa

Fabrizio Barca nel suo intervento con Fulvio Esposito su "La Stampa" di lunedì conferma quanto sostenevo nella mia intervista apparsa il giorno prima: vuole essere lui a decidere a chi dare i fondi per la ricerca e a chi no. Questo spiega perché continui a non rispondere ai quesiti che gli avevo posto commentando la sua "riforma strutturale del modo di finanziamento delle università". Chi decide come ripartire la quota di fondo di finanziamento ordinario all'università volta a incentivare la ricerca che, a detta di Barca, dovrebbe essere destinata a "progetti di sviluppo ambiziosi e fattibili, con risultati attesi anch'essi ambiziosi"? Sulla base di quali parametri oggettivi, non manipolabili da chi deve essere giudicato, le migliaia di ricercatori oggi presenti nell'università italiana dovrebbero indirizzare la loro ricerca sapendo che il loro operato verrà poi valutato e, nel caso, premiato? Cosa stabilisce che un prodotto di ricerca ha trasformato "le conoscenze specialistiche in sapere collettivo"? Il numero di like su twitter, le citazioni sui giornali o nei talk show televisivi? Sono domande fondamentali perché, se si vuole incentivare qualcuno a fare qualcosa, bisogna dirgli prima quali risultati dovrà ottenere per essere premiato.

Barca ed Esposito mi chiedono se ritengo che esista una sola definizione oggettiva di merito. Vorrei far loro notare che nella mia intervista la parola "merito" non veniva utilizzata una sola volta, conscio come sono del fatto che è un termine ambiguo ed inflazionato. In tutto il mondo la ricerca viene incentivata prendendo come riferimento il "giudizio dei pari", espresso dalle pubblicazioni su riviste scientifiche, il cui valore viene rapportato all'impatto sulla ricerca nei vari campi (misurato in base al numero di citazioni su altre riviste scientifiche, a loro volta pesate in base all'impatto degli articoli da queste pubblicate). Il vantaggio di questo metodo è che i criteri sono noti a tutti, presiedono alle scelte di reclutamento e alle carriere dei ricercatori a livello internazionale. Chi si impegna a raggiungere questi risultati nelle università italiane sa che, oltre presumibilmente a poter progredire nella propria carriera, sta anche creandosi delle opportunità per andare dove si fa meglio la ricerca sui temi di proprio interesse a livello internazionale. Un recente lavoro di Checchi, De Fraja e Verzillo dimostra che chi svolge attività di ricerca

nelle università italiane risponde a questi incentivi investendo più energie nel pubblicare le proprie ricerche su riviste che sono in grado di far conoscere il loro lavoro tra la comunità scientifica internazionale. Diversi studi hanno mostrato che questo modo di far ricerca non isola la ricerca scientifica sulla torre d'avorio. Al contrario avvicina l'attività di ricerca agli interessi del pubblico. Ad esempio, durante la pandemia Covid-19 c'è stata una forte risposta della comunità scientifica nel riorientare il proprio lavoro verso temi che potessero in qualche modo essere d'aiuto nell'affrontare l'emergenza.

Barca ed Esposito sostengono che questo metodo premi "la comunità scientifica egemone" mettendo in secondo piano una "ricerca avvertita dai contemporanei come marginale". Può darsi che il "giudizio dei pari" possa inibire in alcune occasioni filoni di ricerca che deviano in modo radicale dai temi di ricerca in quel momento prevalenti. E sono perfettamente consapevole del fatto che non sempre gli articoli pubblicati sulle riviste maggiormente quotate, a giudicare dal numero di citazioni dei loro articoli, fanno davvero compiere dei passi in avanti significativi alle conoscenze scientifiche. Mi è capitato anche di leggere testi di grande valore su riviste scientifiche considerate di rango inferiore. Infine so bene anche, per esperienza diretta, quanto sia difficile pubblicare sulle riviste migliori e capisco perfettamente la frustrazione di coloro che si scontrano con queste difficoltà. Sarà anche il "giudizio dei pari" un pessimo metodo come sostengono Barca ed Esposito, ma come nel caso della democrazia, non conosco un metodo migliore per incentivare la ricerca anziché premiare i propri ambiziosi amici. —


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