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Care donne e uomini di studio

Lettere per un altro mondo. Nella fantascienza la «terraformazione» rendeva un pianeta abitabile per gli esseri umani. Ma questo termine oggi ci riguarda e significa prendersi cura davvero del nostro pianeta. Servono spazi universitari, e non solo, per la crisi socio-ecologica. Con una formazione che va oltre i confini disciplinari

12/05/2021
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il manifesto

Federica Giardini

Care donne e uomini di studio, per molti di noi studiare, fare ricerca è strettamente connesso con i momenti dell’insegnamento. Insegnare significa proseguire nella ricerca, condividerla, vederla trasformarsi nell’incontro e nel contatto con altre, con altri.

Ora, vorrei incontrarvi proprio su cosa intendere oggi per una formazione che si ripensi a partire dalle urgenze socio-ambientali. Per farlo, una parola e il racconto di un percorso.

La terraformazione è un termine nato nella letteratura fantascientifica quando si trattava di rendere un pianeta abitabile come lo è la Terra per gli esseri umani, che sta diventando una prospettiva, ancora lontana nel tempo ma pur sempre una prospettiva, delle esplorazioni spaziali verso Marte.

Un verbo dunque prometeico, dove l’essere umano costruisce nuovi mondi a propria immagine e utilità. Ma se la terraformazione fosse invece – secondo i suggerimenti di Donna Haraway, Bruno Latour e Anna Tsing, tra gli altri – un percorso che dobbiamo fare noi esseri umani, per cominciare o ricominciare a pensarci come terrestri, abitanti di un pianeta che reagisce e chiede di essere trattato con la cura necessaria?

Terraformazione consisterebbe allora nell’educarci all’idea che siamo abitanti e ospiti in uno spazio affollato e vivo, più che specie dominante e indipendente da tutto e tutti.

È nel 2015 che all’Università Roma Tre abbiamo aperto uno spazio dedicato ai saperi necessari per affrontare le trasformazioni socio-ecologiche; il Master «Studi dell’ambiente e del territorio» si configura così come un’occasione di incontro e scambio tra ciò che viene elaborato nelle ricerche accademiche e la ricchezza dei saperi sociali che si esprimono in diversi luoghi e forme. Il CNCA è stato tra i primi interlocutori, tanto che fin dall’inizio ha coordinato, nelle figure di Simona Panzino e Carlo De Angelis, il modulo «Istituzioni del territorio», dedicato ai saperi e alle pratiche che rendono un territorio abitabile, inclusivo, generativo.

All’origine di quella iniziativa, voglio qui ricordare le considerazioni e le sensibilità che ci hanno mosso. Senz’altro, l’idea che la riforma dell’Università, conclusasi nel 2010, che mirava ad «aprire l’università al mercato», potesse essere trasformata in un’occasione: università aperta sì, ma non al mercato bensì ai saperi sociali che sono stati generati da decenni di lotte e di cultura politica diffusa, tanto più vivi e necessari in un periodo di prolungata crisi economica e sociale. Rivolgersi a questi saperi ha significato entrare in rapporto con le iniziative e gli spazi presenti sul territorio, nella ricerca condivisa di nuove e alternative forme di vita.

Una volta che questo percorso di formazione ha preso tutta la consistenza dello scambio con il territorio, ecco che si è aperta la ricerca su come abitare, come interagire, ma anche con quali parole dire e raccontare quel che ci accade e quel che desideriamo.

E le parole per dirlo si trovano oltre i confini disciplinari – per immaginare uno spazio e per raccontare i suoi sviluppi avremo, abbiamo avuto, bisogno tanto della filosofia quanto dell’urbanistica, tanto della sociologia quanto dell’arte e dell’economia; come anche di tutto quel che si va generando nel territorio stesso.

E ancora, per pensare la democrazia, la partecipazione, l’inclusione siamo andati maturando l’idea che non è più possibile pensare all’agire umano come a una prerogativa che si esercita su uno sfondo inerte e sempre a disposizione. Non l’aria, non l’approvvigionamento idrico di una città, non il suolo… possono essere dati per scontati; vanno piuttosto considerati come delle forze che agiscono e interagiscono con quanto facciamo.

È oramai acquisito che pensarsi padroni – privilegiati e detentori dell’unico modo appropriato di trattare e gestire, che sia la realtà, l’altra, gli altri, la natura, è una pessima abitudine mentale che produce danni notevoli, violenza, dissesto, esclusioni ed espulsioni. Formarsi al nostro essere terrestri è una strada lunga; significa riacquisire sensibilità, saper vedere cosa ci circonda e da cui dipendiamo; significa apprendere le nuove parole che servono a dirlo e a immaginarlo; significa sapere che la giustizia è una misura che corre tra umani ma anche tra gli umani che siamo e altri esseri ed enti – si parla infatti di giustizia ambientale, necessaria tanto quanto la giustizia sociale.

La strada è lunga, l’abbiamo presa e stiamo avanzando; quest’anno in collaborazione con il Master prende avvio il Corso di laurea in Scienze umane per l’ambiente. Nel percorso di realizzazione di questa nuova iniziativa era prevista la consultazione con le parti interessate fuori dall’Ateneo (nel gergo, gli stakeholders): anche questa è stata l’occasione di una ulteriore consultazione con il CNCA, da cui è emerso proprio il nesso inscindibile tra crisi ambientale e giustizia sociale.

Se è pur vero che il termine sostenibilità – soprattutto dopo il lancio dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile – è diventato un termine feticcio, buono a tutti gli usi e costumi, ebbene proprio contro lo svuotamento delle parole è decisivo il rapporto con la concretezza e materialità delle vite e delle sperimentazioni di nuovi modi di esistere, di produrre e rigenerare la vita e le condizioni della vita stessa; altrettanto necessaria è l’acquisizione di avanzati strumenti di analisi, che possano nutrire l’immaginazione e collocarci in nuovi e inediti punti di osservazione.

Ai nostri prossimi incontri.

L’AUTRICE DELLA LETTERA

Federica Giardini insegna Filosofia politica all’Università Roma Tre. Ha lavorato sulla relazione corporea tra filosofia e psicoanalisi, sulle genealogie femministe, a partire dal pensiero della differenza, sui beni comuni. Attualmente lavora, insieme a altre, sull’intersezione dell’economia politica e delle politiche della natura. Coordina il sito di IAPh Italia e il Master «Studi e politiche di genere». Nel Consiglio Direttivo del Master di I livello «Environmental Humanities – Studi dell’Ambiente e del Territorio». Tra le sue pubblicazioni: Relazioni. Fenomenologia e differenza sessuale (2004); L’alleanza inquieta. Dimensioni politiche del linguaggio (2011); Produzione e riproduzione. Genealogie e teorie (2015, con G. Piccardi), I Nomi della crisi. Antropologia e politica (2017).


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