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Caos università «Il decreto è illegittimo»

I costituzionalisti italiani impugnano i criteri per valutare gli aspiranti docenti universitari

26/06/2012
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l'Unità

Mariagrazia Gerina

È come in un romanzo di Kafka: le regole a cui ti saresti dovuto attenere ancora non c’erano, ma tu dovevi rispettarle lo stesso. Migliaia di giovani ricercatori che, nonostante tutto, ancora ambiscono a diventare professori universitari, leggono e rileggono i criteri in base ai quali saranno valutati per prendere l’abilitazione e non possono fare a meno di sentirsi tanti piccoli Josef K. Nel decreto emanato dal Miur lo scorso 7 giugno, allegato B, c’è scritto infatti che, almeno per quanti stanno tentando la carriera universitaria nelle discipline umanistiche, la valutazione dipenderà dal numero di articoli pubblicati negli ultimi dieci anni in «riviste appartenenti alla classe A». Peccato che i candidati non potevano sapere prima quali riviste sarebbero state inserite in futuro nella «classe A». A dividere le riviste in classi «A, B e C» spiega infatti il decreto è l’Anvur, l’Agenzia di valutazione del sistema universitario. Un lavoro di classificazione fatto ex post che avrà effetti retroattivi sulla carriera dei candidati. «Tale disciplina appare lesiva dei principi di eguaglianza e ragionevolezza», annota la associazione italiana dei costituzionalisti che, esaminato il testo del decreto ministeriale emanato lo scorso 7 giugno, ha deciso di impugnarlo davanti al Tar. Nel «regolamento sui criteri e parametri per la valutazione dei candidati e sulle modalità di accertamento della qualificazione dei commissari ai fini dell’attribuzione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e seconda fascia dei professori universitari» i costituzionalisti italiani ravvisano «un palese vizio di illegittimità e irragionevolezza». Il pasticcio come prevedibile riguarda appunto le materie umanistiche. Quelle che non possono essere valutate con criteri esatti. La scelta di dividere le riviste in tre classi e di valutare poi i candidati in base al «numero di articoli pubblicati nei dieci anni consecutivi precedenti il bando su riviste appartenenti alla classe A» viene categoricamente bocciata dai costituzionalisti. Si tratta di un criterio «definito ora per allora e con effetto retroattivo», annotano nella lettera che il presidente Valerio Onida ha indirizzato in queste ore ai colleghi delle associazioni di storia del diritto, di diritto penale, commerciale, amministrativo, e così via. Per annunciare che il direttivo dell’associazione dei costituzionalisti ha deciso di impugnare il decreto. E per invitare gli altri colleghi a fare altrettanto. Una valanga di ricorsi sta per piovere su viale Trastevere? Lo aveva predetto, in effetti, il ministro dell’Istruzione e dell’Università Francesco Profumo: «Il rischio è che si scateni un contenzioso che finisca per bloccare tutto». Anche per questo Profumo aveva deciso di correggere le regole per il reclutamento dei docenti universitari decise dal precedente governo con una riforma sperimentale che di fatto avrebbe sospeso l’entrata in vigore dell’abilitazione nazionale prevista dalla legge Gelmini. Il blitz non è riuscito. E dopo l’alzata di scudi del Pdl, la sperimentazione di Profumo è tornata, almeno per ora, nel cassetto. I timori dell’attuale ministro però erano più che fondati: dare attuazione alla abilitazione nazionale così come voluta da Mariastella Gelmini si sta rivelando un bel rompicapo. E il primo passo fatto dal governo tecnico per sbloccare le abilitazioni, a quasi due anni dall’approvazione delle legge 240, a quanto pare è un passo falso. E se a dirlo sono i costituzionalisti...


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