C’è un altro motivo per aprire le scuole: quei 160 mila bimbi rimasti senza cibo
La chiusura delle mense ha effetti devastanti
Goffredo Buccini
Caterina, 7 anni, l’hanno trovata che frugava nella spazzatura come un gabbiano. Milo, 10 anni, «il fratello grande», l’hanno incrociato al supermercato che spingeva un vecchio passeggino carico solo di farina e polenta, fagioli e patate, il necessario per saziarsi, cercando di pagare con una carta bancomat senza più credito.
Calabria, nelle baracche tra la Provinciale 9 e la Statale 18. I volontari del vicino Punto Luce li hanno raccolti e hanno scoperto che i bambini erano dati per «totalmente dispersi» dalla scuola durante la didattica a distanza e soprattutto che, a mensa chiusa, avevano perso l’unico pasto della giornata con un decente contenuto proteico. Perché, no, non è solo Dad . Il secondo, eccellente motivo per riaprire le scuole dopo Pasqua è dare da mangiare ai bambini poveri. Secondo le stime di Save the Children, e il monitoraggio dei suoi Punti Luce sparsi sul territorio, ce ne sono almeno 160 mila in Italia che possono aver subìto una «perdita grave della loro crescita» come effetto della chiusura delle mense scolastiche.
Janine, filippina, disoccupata, mamma di quattro figli, ha sempre contato molto sulla mensa per la sua Milena, che va ancora alla primaria: «Se la scuola è chiusa, non so cosa farle mangiare, almeno lì mangia un pasto: non ho un euro in tasca, datemi una mano», ha detto ai volontari di Scalea, vincendo il pudore. E lì, almeno, una mensa da riaprire c’è, cosa non scontata. Su 40.160 edifici scolastici in Italia, solo 10.598 hanno una mensa, la Calabria è quartultima tra le regioni, secondo dati Miur 2018-19: in testa il Nord (la Liguria ha l’87% di istituti con mensa, seguita da Toscana all’85% e Valle d’Aosta all’84%) in coda il Sud (la meno virtuosa è la Sicilia col 10%, seguita dalla Puglia col 16%).
«La riapertura delle scuole è certo un’ottima notizia anche per l’alimentazione dei piccoli», dice Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children, che lancia subito due proposte: «Visto che si parla di scuole aperte anche d’estate, chiediamo al ministero di tenere aperte d’estate anche le mense, soprattutto nei territori in difficoltà. E poiché quasi la metà del Paese ne è sprovvista, proponiamo di mettere cucine in tutte le scuole se davvero vogliamo scuole a tempo pieno per sostenere i più svantaggiati: la mensa può creare occupazione, avvicinare i bambini ai prodotti locali, promuovere una vera educazione alimentare». Perché l’altra faccia del disagio alimentare è il junk food, il cibo spazzatura, col paradosso che la patria della dieta mediterranea è uno dei Paesi europei dove il tasso di obesità infantile è più alto (il 20% dei bimbi in sovrappeso, il 9% gli obesi). Ahmed, 8 anni, famiglia marocchina trapiantata a Torino, ha passato la Dad fissando il frigorifero e nutrendosi di merendine e patatine: «Convincere i bambini a mangiare quello che c’è non è facile», sospira la madre Fatima, sostenuta dal Banco alimentare.
La pandemia è stata un colpo terribile ovunque. Unicef e Programma Alimentare Mondiale hanno elaborato il dossier «Covid-19: missing more than a classroom» (perdere più che una lezione), secondo cui nei Paesi poveri sono andati persi 39 miliardi di pasti scolastici, con conseguenze su 370 milioni di bambini. La richiesta di riaprire scuole e mense sale soprattutto dalle Ong sparse in tutta l’Africa. «Naturalmente parliamo di realtà diverse», specifica Raffaela Milano: «Quella è denutrizione. Da noi in Italia povertà alimentare significa cattiva alimentazione, malnutrizione».
Il confine talvolta è labile, come racconta la mamma di Annabella e Christian, 10 e 12 anni, disoccupata a Marghera: «Non possiamo comprare né carne né frutta e possiamo permetterci solo prodotti di bassa qualità. Con la mensa chiusa, non riesco a portare in tavola ogni giorno un pranzo e una cena come si deve».
Da noi, la pandemia ha fatto crescere dell’1,3% in un anno il numero delle famiglie in povertà assoluta, oggi più di due milioni: significa oltre cinque milioni e mezzo di persone non in grado di garantirsi gli standard minimi di alimentazione, alloggio, riscaldamento. E benché il Sud rimanga l’area a maggiore povertà assoluta (con il 9,3% delle famiglie), è stato il Nord a registrarne l’incremento più significativo, con 218 mila famiglie in più entrate in povertà. Avere in casa figli minori cambia il quadro decisamente in peggio, con un’incidenza della povertà assoluta che arriva all’11,6%.
Dunque, per questo universo dolente la scuola non è soltanto speranza di futuro migliore. È salvezza nel presente. Alle primarie, un milione e 530 mila bambini (il 56%) ha accesso a una mensa scolastica; alla scuola d’infanzia un milione e 200 mila (l’83%). Già prima del Covid-19, stando a dati del 2017, il 6% dei bambini non era in grado di consumare quotidianamente un pasto dall’adeguato contenuto proteico. Nel 2020 la povertà minorile ha fatto un balzo significativo: 200 mila bambini e ragazzini sono scivolati nella miseria estrema e oggi sono un milione e 300 mila, con un incremento del 2,2% in dodici mesi. Quindici su cento delle loro famiglie chiedono aiuto. «Hassan mangia molto e se non va a scuola la sera ha sempre fame e io non so come fare», ha spiegato al Punto Luce di Marghera una giovane mamma. L’aiuto arriva non solo dalle onlus ma pure dalle catene di solidarietà delle maestre, dalle collette mensili di una rete informale e invisibile. Al Punto Luce di Bari Vecchia, nei pacchi alimentari per le famiglie mettono anche album da disegno e pastelli: per quando le mense riapriranno, cibo alla fantasia.