C’è merito e merito
Cosimo De Nitto
Finalmente un po’ di serietà che fa rima con severità e con modernità. Basta con l’egualitarismo degli insegnanti che, come è universalmente noto, sono tutti comunisti incorreggibili e rétro con l’idea fissa (ideologia!) che tutti devono essere messi in condizioni di eccellere. E la piramide sociale dove va a finire?
Viva la piramide!
E benedetti gli Egizi che costruendole hanno significato per l’eternità che la società perfetta è quella che si dispone a piramide (non è un’ideologia anche questa?). Nella storia poi questa piramide è stata via via diversamente costruita con i vari ceti sociali, caste, ordini ecc. Comune denominatore è sempre stata la coincidenza del livello della piramide con il potere politico ed economico posseduto dai ceti che la componevano. Per cui alla base sono sempre stati coloro che non avevano né proprietà né potere politico. La proprietà e il potere politico si disponevano in modo crescente a mano a mano che si saliva verso il vertice. Per tenere su la piramide non bastavano però il potere e la forza, occorreva un elemento molto particolare, immateriale, culturale: l’ideologia! Attraverso questa si alimentava un senso comune che giustificava lo statu quo con la legge di natura, la religione, la tradizione ecc. Chi era al vertice, ovviamente, non poteva essere giudicato dagli ordini inferiori (che ci sia una qualche disgraziata coincidenza con ciò che accade oggi?).
Poi è arrivata la democrazia e, almeno a livello formale, le piramidi sono venute giù come sistema giuridico politico istituzionale, ma non sono crollate a livello economico politico. Anzi le dinamiche sociali, oggi, vedono una crescente polarizzazione della povertà e della ricchezza, di chi ha potere e se ne appropria sempre più (la casta) e chi invece viene espropriato progressivamente dei diritti di cittadinanza.
La categoria dei poveri si amplia erodendo la parte bassa dei ceti medi (gli insegnanti sono tra questi). La categoria dei ricchi si riduce in modo proporzionale all’aumento della loro ricchezza. Come giustificare ciò? Non con la naturalità dell’evento, non con la volontà divina (non piacerebbe a nessuno questo Dio).
Si giustifica con l’ideologia del “merito”. Chi è su ci sta perché lo merita. Ma siamo sicuri che sia sempre così?
Si fa presto a invocare la meritocrazia. E se questo principio deve valere (“concezione culturale e sistema socio-politico che prevede e attribuisce riconoscimenti, prestigio, potere e successo nella società, unicamente sulla base di criteri di merito”) dovrà essere applicato non solo al mondo del lavoro e della scuola, ma anche a quello di chi gestisce l’economia e chi dirige il governo del paese.
Ma tutti i ricchi sono i più capaci e competenti? Coloro che ci governano sono i più capaci e competenti?
Un esempio a caso, il Ministro Gelmini quanto si è occupata di scuola? Ha condotto studi, ricerche, ha scritto saggi sulla scuola? Ha mai insegnato o diretto una scuola? Lo stesso vale per tanti suoi colleghi ministri.
Visto che parla spesso di valutazione, ha mai scritto un saggio di docimologia?
Eppure lei è la massima autorità di governo della scuola con la sua non-competenza e, ciò nonostante, pensa che sul “merito” occorrerebbe costruire una bella piramide a tre piani (tre numero perfetto!) per metterci i docenti: 1) iniziali; 2) ordinari; 3) esperti (Ddl. Aprea). Che poi la scuola, la formazione, la didattica, gli ambienti di apprendimento siano istanze che possono e devono funzionare in base a principi diversi dalle aziende, e che qui valgono regole, relazioni e rapporti specifici e particolari poco sembra importare.
La questione del merito assume significati, valenze, modi di rilevazione, misurazione, valutazione e riconoscimenti diversi a seconda delle specifiche attività e degli ambienti in cui queste si svolgono. Altrimenti si tratta di propaganda tesa ad affermare un principio così generale da risultare astratto e, questa volta sì, ideologico.
…e merito
Diversamente appare la questione quando dal piano della propaganda ideologica si passa a considerare il merito nel settore della formazione.
Dire che la scuola deve riconoscere il merito equivale a dire una sciocchezza, in quanto la scuola esiste proprio per creare merito; il successo formativo si diceva poco tempo fa; il profitto, si diceva in tempi più remoti. E d'altronde farebbe piacere a tutti conoscere quanti docenti e quante scuole lavorano per il de-merito.
Negli altri settori sociali il merito è (o dovrebbe essere) condizione di partenza riconosciuto per disporsi nei vari livelli dell’organizzazione del lavoro. Dico dovrebbe essere perché siamo o no nel paese delle raccomandazioni, dei favoritismi, dei nepotismi, degli amici degli amici, della cooptazione e delle investiture dall’alto, ecc. ecc.?
Nella scuola il problema fondamentale si racchiude nelle domande:
- come fare, partendo dalle conoscenze e competenze dei singoli alunni, portarli a livelli superiori di merito, ciascuno per le sue tendenze e le sue scelte, valorizzando le sue capacità?
- come rimuovere o aggirare, o ridurre gli ostacoli di diversissima natura che ne frenano lo sviluppo socio-affettivo, cognitivo, comportamentale, per realizzare il diritto allo studio sancito dalla Costituzione, affinché a tutti sia data l’opportunità di migliorare la propria condizione culturale e sociale? (Per capire quanto incide la componente ambientale confronta lo studio di Bankitalia su “I divari territoriali nella preparazione degli studenti italiani: evidenze dalle indagini nazionali e internazionali)
La risposta a queste due domande deve essere contestuale e correlata. E’ la difficile sfida che ci attende. E’ l’utopia della pedagogia e della didattica del III millennio.
Il problema fondamentale, esprimiamoci così, ancor prima del prodotto è quello del processo. D'altronde troppo facile e semplice sarebbe il compito della scuola se si dovesse ridurre a prendere atto, come un ragioniere, dei profitti (meriti) e delle perdite (demeriti). La scuola non può prendere atto, sancire e restituire le differenze che già ci sono nella società; tradirebbe la sua missione che è invece quella di creare opportunità di ascesa sociale per meriti (questi si) culturali e competenze acquisite.
Tante volte si ha l’impressione che tanti (troppi!) censori della scuola credano che gli insegnanti per incompetenza e/o incapacità non vogliano promuovere meriti ed eccellenze.
(Certo ci sono anche insegnanti che accusano difficoltà e commettono errori, anch’essi imparano e crescono nella professione); è come dire che tra i medici nessuno sbaglia e nessun paziente ci rimette la pelle; è come dire che nessun magistrato sbaglia e condanna un innocente; è come dire che nessun politico è un volgare ignorante e profittatore, concussore, corrotto e/o corruttore. )
Ma anziché pontificare, sanzionare, censurare perché, per esempio, non si sostengono gli insegnanti a tirar fuori il merito e le eccellenze, non solo a raggiungere i fantasmagorici “standard”, in classi come quella prima elementare che ho avuto modo di esaminare leggendo le schede di presentazione della scuola dell’infanzia?
Su 28 alunni di candidati all’eccellenza non c’era nessuno, 7 erano gli stranieri, 6 gli anticipatari (tra questi 4 erano anticipatari e stranieri nello stesso tempo), il resto del quadro era composto da situazioni molto problematiche e difficili sotto l’aspetto psicologico, cognitivo, comportamentale. Trasversali la fragilità, l’egocentrismo, l’iperattività, la permalosità, un non ancora acquisito sistema di regole adeguato all’età… Tanti bambini provenivano da famiglie che accusavano notevoli difficoltà a vivere, oppure erano figli di professionisti assenti, ma pieni di sensi di colpa dovuti al fatto che erano costretti a delegare il momento educativo alla scuola, ai nonni, alle “dade”… E questa sarà una futura classe prima non appesantita dalla presenza di alunni disabili!
Mi domando che merito potranno promuovere gli insegnanti in una situazione di questo tipo che non è delle peggiori. Per prima cosa essi, programmando la didattica, definiranno quali obiettivi potranno essere considerati di merito rispetto alla situazione di partenza. Il merito non può essere fissato astrattamente e in modo decontestualizzato rispetto alle situazioni soggettive individuali ambientali.
Se il ministro vuol dare una mano, senza fare propaganda, diriga con discrezione il ministero in modo da fornire indirizzi, intelligenze, risorse umane e materiali per affrontare e dare risposte utili ai problemi e alle domande poste.
…e merito di chi deve promuovere il merito (quello degli insegnanti)
E questo è tutto un altro discorso ancora.
Intanto occorre definire ciò che, oggi, può essere ritenuto “merito” riferito agli insegnanti. Sulle conoscenze, capacità, competenze di chi viene chiamato in cattedra, gli studi, le ricerche, i dibattiti sono pressoché infiniti. Ci sono istituti, ricercatori, associazioni professionali che lavorano da sempre intorno a questa materia.
Chi può dissentire sul fatto che occorrano docenti capaci, preparati, efficaci ecc… quindi meritevoli? (soprattutto in situazioni, come quelle attuali, in cui sono costretti a fare anche da assistenti sociali, psicologi, consulenti familiari ecc…)
Chi può dissentire sul fatto che questo merito debba essere riconosciuto e gratificato?
Oggi non è né riconosciuto né gratificato. E dato che la scure dei tagli si abbatterà sulla scuola, parlare di ciò mi sembra accademico; a meno che non si pensi di ricavare risorse da sciagurate politiche neo-malthusiane, per cui quello che si risparmia togliendo ai “fannulloni”, che devono essere penalizzati e “cacciati!”, come dice il ministro Brunetta, o non assumendo docenti per i disabili, per la formazione degli adulti ecc., o aumentando gli alunni per classe, o dismettendo progressivamente la scuola dell’infanzia, sarà investito per “premiare” i pochi meritevoli.
Si pensa davvero che l’efficacia e l’efficienza della scuola possano aumentare introducendo una surrettizia piramide meritocratica? Siamo certi che incentivando alcuni si facciano migliorare i più? Siamo sicuri che la ricetta magica (soprattutto nuova!) per alunni e docenti, per tutti, direi, sia il bastone e la carota, la punizione e il premio? Io non ne sono convinto affatto.
A molti insegnanti pesano non solo e non principalmente i bassi stipendi, pesano oltremodo le frustrazioni per una professione socialmente non riconosciuta, rispettata, tutelata; “tradita” prima di tutto da parte di chi ha mezzi culturali, ruolo istituzionale, peso politico, dovere costituzionale di difenderla e aiutarla a migliorare. Non a caso secondo recenti ricerche la categoria professionale degli insegnanti - in controtendenza con gli stereotipi diffusi nell'opinione pubblica - è soggetta ad una frequenza di patologie psichiatriche (burn out) pari a due volte quella della categoria degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale sanitario e tre volte quella degli operatori manuali.
Se le cose stanno così sbaglieranno ministro e governo a mettere al primo posto della loro agenda il problema del merito e della meritocrazia. Che senso ha cominciare dalla coda? Che senso ha con l’emergenza scolastica ed educativa che incalza andare ad infilarsi in un vicolo che non porta da nessuna parte e che, anzi, accresce i disagi, i conflitti, le contraddizioni e non contribuisce a creare quelle condizioni di attenzione e fiducia, che facciano rimettere in cammino la scuola, suscitando nuovi interessi e motivazioni in tutti, a partire dai docenti? Solo in questo clima di rilancio della scuola della Costituzione, punta avanzata del progresso del paese, si possono affrontare tutte le questioni del merito.
Magari non con lo sviluppo a piramide della carriera, che introduce competizione dove dovrebbe esserci collaborazione e collegialità, fa sgomitare anziché integrare ed integrarsi, fa pensare se stesso in opposizione all’altro, turbando il clima ed avvelenando i luoghi di lavoro. Sarebbe la pietra tombale per la scuola nelle sue attuali condizioni.
Si potrebbe puntare sull’arricchimento della funzione docente (che resta unica), considerando diverse funzioni specialistiche che oggi sono divenute indispensabili e per svolgere le quali occorre mettere in campo nuove competenze frutto di studio, ricerca, sperimentazione, applicazione. Su come definire, inquadrare, regolamentare, gratificare economicamente, gestire questa materia il governo, ferme restando le sue competenze, potrebbe aprirsi all’apporto e al contributo dell’associazionismo professionale e degli enti ed istituti che hanno competenza in materia. Infine chiudere il percorso con il negoziato sindacale.
“É una cosa ben schifosa, il successo. La sua falsa somiglianza con il merito inganna gli uomini.”
(Victor Hugo)
19 giugno 2008