C’è ancora un futuro per università e ricerca in Italia?
Una lettera i cui primi sottoscrittori includono quaranta accademici dei Lincei. Viene espressa grande preoccupazione per il futuro dell’università e della ricerca in Italia
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera i cui primi sottoscrittori includono quaranta accademici dei Lincei. Viene espressa grande preoccupazione per il futuro dell’università e della ricerca in Italia. I principali problemi che vengono posti all’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità di governo sono: “la costante e sempre mutata pressione legislativa“, “il disordine nel governo e nell’organizzazione del sistema“, “i lunghi periodi d’intervallo tra una tornata di concorsi e l’altra”, “i ripetuti mutamenti della disciplina dei sistemi concorsuali”, “un groviglio tra autoritarismo centrale, ora anche grazie ai nuovi sistemi di valutazione, e di un potere sempre più accentrato nei singoli Atenei”.
https://www.roars.it/online/ce-ancora-un-futuro-per-universita-e-ricerca-in-italia/
Illustri colleghi,
Vi sottoponiamo il testo della seguente lettera che un gruppo di anziani professori intende inviare alle autorità di governo, ma anche di rendere nota all’opinione pubblica. E’ una presa di posizione ispirata alla preoccupazione per le attuali condizioni dell’Università e della ricerca in Italia e per il loro prevedibile futuro. Più forse della mancanza di risorse, pesano oggi negativamente sulle nostre istituzioni di ricerca e d’insegnamento superiore la costante e sempre mutata pressione legislativa, all’inseguimento di un modello ottimale, il disordine nel governo e nell’organizzazione del sistema che ne è derivato, i lunghi periodi d’intervallo tra una tornata di concorsi e l’altra, i ripetuti mutamenti della disciplina dei sistemi concorsuali, nell’illusione d’inventare una legge che renda i giudici migliori di quel che sono, sino alla svalutazione del consapevole giudizio dei pari con il sorteggio e la nomina di commissari stranieri, lo spostamento, in nome dell’autonomia, verso un nuovo centralismo delle singole istituzioni, in un groviglio tra autoritarismo centrale, ora anche grazie ai nuovi sistemi di valutazione, e di un potere sempre più accentrato nei singoli Atenei.
Tutto ciò ha emarginato totalmente o quasi, nella sostanza, quell’autonomia della comunità scientifica in quanto tale (l’unica vera autonomia garantita dalla costituzione, perché essenziale alla ‘libertà di ricerca e d’insegnamento’) e che non può non esprimersi prioritariamente nel rispetto e valorizzazione delle specificità proprie di ciascun settore disciplinare. Perché un vizio di fondo ha accomunato i riformatori ‘di destra’ e ‘di sinistra’ che si sono susseguiti in quest’ultimo quarto di secolo ed è la tendenza a disciplinare in termini molto circostanziati e rigidamente unitari una realtà eterogenea e complessa che richiedeva invece notevole elasticità. Mentre poi il continuo flusso di nuove norme relative al funzionamento dell’Università nel suo insieme ed al lavoro dei singoli, contraddittorio e disordinato, su un unico punto appare convergere: il perseguimento – comune a tanta parte della legislazione attuale – dell’obiettivo primario di prevenire le possibili disfunzioni e irregolarità piuttosto che quello di far funzionare in modo più efficace l’intero sistema di ricerca e di formazione. Il risultato complessivo è stato una nuova forma di centralizzazione, più o meno larvata, con la svalutazione dell’autonomia dei singoli settori scientifici: la progressiva marginalizzazione del CUN sta a dimostrarlo.
Il tutto mentre, in nome di una logica di mercato e di concorrenza narrata da studiosi, non sappiamo quanto competenti in campo economico, ma sicuramente accecati da dottrinarismo e ideologismo per quanto concerne un’adeguata consapevolezza della grande complessità di un qualsiasi modello di ricerca, anche il più ‘liberistico’, s’è tollerata e favorita a livello governativo una vergognosa concorrenza con il sistema universitario nazionale, essenzialmente e generalmente di carattere pubblico, da parte di istituzioni-pirata, prive di qualsiasi qualificazione professionale e scientifica, quali in gran parte le università telematiche. Proprio perché noi abbiamo conosciuto un’Università migliore e più qualificata e vi abbiamo lavorato in modo spesso assai soddisfacente, credo dobbiamo cercare di reagire nelle nostre possibilità ad una politica che rischia di fare uscire l’Italia dal rango dei sistemi universitari avanzati. Se siete d’accordo, vi preghiamo d’aderire. In tal caso vi preghiamo di indicare i vostri nominativi con le relative qualifiche accademiche.
I primi firmatari di questo appello sono in gran parte professori dell’Università italiana ormai in pensione e fuori da ogni gioco accademico e dai ruoli attivi. Con l’autorità che proviene loro da tale distacco, oltre che dal loro lungo servizio nell’Università, e con l’esperienza conseguita nelle più varie branche della ricerca scientifica, essi si rivolgono pertanto alle massime autorità di governo del Paese, e anzitutto a Lei, signor Ministro, per esprimere tutto il loro allarme per il futuro della ricerca scientifica in Italia.
Nel corso di quest’ultimo ventennio il succedersi di opposte maggioranze parlamentari e di governi di diverso orientamento non ha modificato gran ché la linea di fondo che ha ispirato l’insieme di trasformazioni dell’assetto universitario italiano e il governo del sistema universitario e della ricerca scientifica italiana. Anzitutto, con una discutibile applicazione della pur valida idea di autonomia dell’Università, il riequilibrio tra governo centrale del sistema e il funzionamento dei singoli atenei ha sempre più travalicato le mere funzioni organizzative e amministrative, intaccando in profondità la vita e gli orientamenti dei vari settori scientifici. Anche sotto lo stimolo di convergenti interessi pratici, l’autonomia dell’università italiana è stata infatti interpretata come autonomia organizzativa, fraintendendo la finalità ultima del dettato costituzionale che garantiva anzitutto e essenzialmente la libertà di ricerca e d’insegnamento da ogni possibile costrizione e controllo da parte del potere politico. E’ una libertà, questa, che necessita di spazi di autogoverno ed autodisciplina, nei singoli settori scientifici, fondata in Italia, come in ogni altro sistema avanzato, essenzialmente sul giudizio dei pari. Un giudizio di pari, oggi, sostanzialmente vanificato proprio nei delicatissimi meccanismi delle carriere universitarie: la serie di riforme dei concorsi universitari che si sono succedute hanno infatti inserito un insieme di vincoli più atti a moltiplicare il contenzioso amministrativo che a valorizzare la qualità intrinseca della ricerca, privilegiando inoltre logiche localistiche estranee ad una seria valutazione scientifica.
Il conclamato nell’intento di potenziare la produttività dell’intero sistema ha ingenerato il disordinato accatastarsi di provvedimenti di difficile applicazione volti a disciplinare in forma sempre più minuziosa ed oppressiva ogni aspetto della vita universitaria con l’aggravarsi del lavoro burocratico-amministrativo a scapito dello stesso impegno scientifico dei singoli docenti. Le verifiche di produttività e i criteri di valutazione, progettati e attuati senza adeguata interazione con la comunità scientifica, da parte di una burocrazia fatta da alcuni specialisti, scelti dall’alto, senza trasparenza e senza nessuna investitura dalla comunità stessa, hanno finito inoltre con l’esaltare le difficoltà che ogni sistema di valutazione della ricerca ha sinora evidenziato. Il punto centrale è che i criteri stessi utilizzati nella valutazione incidono direttamente sugli orientamenti scientifici, creando vere e proprie deformazioni nei vari sistemi di ricerca. Tali effetti sono tanto più gravi in quanto ad essi si congiunge il carattere sempre più centralizzato nella distribuzione delle poche risorse disponibili. Noi stessi ci rendiamo conto che se nel corso della nostra vita attiva fossimo stati sottoposti all’attuale disciplina, difficilmente avremmo potuto realizzare quanto oggi possiamo comunque vantare al nostro attivo nel campo della ricerca scientifica.
Oggi l’Italia conosce il triste privilegio di sperimentare nel modo più accentuato i rischi di un processo che certo trascende i confini del nostro paese e che, in ultima istanza, tende a sottoporre l’Università e la ricerca ad un controllo sempre più diretto e immediato del potere politico. Questi problemi sarebbero forse meno gravi se in gioco fosse solo quel settore della ricerca più direttamente coinvolto nei processi sociali e nell’innovazione economica e industriale. Il fatto che tutta la scienza di base sia trattata come un processo di tipo industriale, con tempi e criteri valutativi in termini di immediati risultati, mostra la profonda incomprensione, da parte degli autori di tali politiche, della natura stessa della ricerca scientifica. L’apparente processo di moralizzazione di condotte che pur sono esistite ed esistono macchiando la vita della nostra università, ha un costo enorme, senza peraltro fornire alcuna certezza riguardo agli eventuali benefici. Anzitutto, insieme al taglio dei finanziamenti ed al modo disordinato in cui ciascun ateneo ha dovuto limitare la sua spesa per il personale, la continua modifica del regime di funzionamento del sistema universitario e della ricerca ha comportato un totale ristagno dei sistemi ordinari di reclutamento dei nuovi quadri universitari. E’ dall’inizio degli anni ’80 del secolo scorso che s’è aggravato il carattere sussultorio e irregolare dei meccanismi di reclutamento nelle nuove leve. Mentre si continua tanto a parlare della ‘fuga dei cervelli’ i nostri migliori laureati se ne vanno dall’Università, o per altri paesi o in direzione di altri lavori per la mancanza di posti e per la casualità e l’irregolarità dei concorsi: un colpo mortale per la scienza italiana. Nel momento in cui la ricerca scientifica si rivela sempre più determinante per la persistenza del nostro Paese come sistema economico-sociale avanzato, i nostri governi stanno uccidendo il futuro della nostra università e della ricerca.
La libertà di ricerca è un valore che ha accompagnato la storia della civiltà europea sin dalla sua rinascita medievale. Autorità e sistemi di valori esterni di varia natura, religiosa e politica, di volta in volta hanno cercato di imbrigliare e limitare questa stessa libertà e sovente con successo. Quando ciò è avvenuto i danni sono stati immediati, talora incidendo in modo irrevocabile sulla qualità e la forza delle singole nazioni europee. Oggi, sotto la spinta di una mentalità puramente aziendalistica e con la copertura di mal poste esigenze dello sviluppo economico, noi vediamo rimesse in discussione acquisizioni che credevamo solidamente acquisite a fondamento della libertà della scienza e del futuro delle nostre società.
Enrico Alleva
Dirigente di ricerca (biologia del comportamento) dell’Istituto Superiore di Sanità
Accademico dei Lincei
Carlo Bernardini
Professore emerito Sapienza, Università di Roma
Edda Bresciani
professore emerito (egittologia) Università di Pisa
Accademico dei Lincei
Giuseppe Cacciatore
Professore ordinario di storia della filosofia, Università di Napoli, Federico II
Accademico dei Lincei
Eva Cantarella
Già professore ordinario (diritto romano), Università di Milano
Luigi Capogrossi Colognesi
professore emerito (diritto romano) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Claudio Castellani
Professore ordinario Sapienza, Università di Roma
Alessandro Cavalli,
già professore ordinario (sociologia) Università di Pavia
Accademico dei Lincei
Enzo Cheli
già professore ordinario (diritto costituzionale) Università di Firenze
vice-Presidente emerito della Corte Costituzionale
Accademico dei Lincei
Filippo Coarelli
professore emerito (antichità romane), Università di Perugia
Accademico dei Lincei
Giovanni Colonna
professore emerito (Etruscologia) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Terenzio Cozzi
professore emerito (economia politica), Università di Torino
Accademico dei Lincei
Lellia Cracco-Ruggini
professore emerito (storia romana), Università di Torino
Accademico dei Lincei
Michele De Benedictis
professore emerito (Politica economica agraria) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Francesco De Martini
Professore ordinario di informazione quantistica Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Carlo Di Castro
professore emerito (meccanica statistica) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Ettore Fiorini
Professore emerito (istituzioni di fisica nucleare e subnucleare) Università Milano ‘La Bicocca’
Accademico dei Lincei
Massimo Firpo
Professore ordinario di Storia Moderna, Scuola Normale Superiore di Pisa
Accademico dei Lincei
Giovanni Gallavotti
Professore ordinario di Meccanica superiore, Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Giancarlo Gandolfo
Già Professore ordinario di economia internazionale, Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Giuseppe Giarrizzo
professore emerito ( (Storia moderna) Università di Catania
Accademico dei Lincei
Tullio Gregory
professore emerito (Storia delle filosofia) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Renato Guarini
professore emerito (Statistica economica) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Francesco Guerra
Già Professore ordinario Sapienza, Università di Roma
Natalino Irti
professore emerito (diritto civile) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Giorgio Israel
Già professore ordinario Sapienza, Università di Roma
Membro de l’Académie International d’Histoire des Sciences
Gianni Jona-Lasinio
professore emerito (metodi matematici della fisica) Sapienza , Università di Roma
Accademico dei Lincei
Eugenio La Rocca
professore ordinario di Archeologia classica, Sapienza , Università di Roma
Accademico dei Lincei
Mario Liverani
professore emerito (Storia del vicino oriente antico) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Massimo Livi Bacci
Professore emerito (Demografia), Università di Firenze
Accademico dei Lincei
Giorgio Lunghini
Professore ordinario di economia politica, IUSS, Pavia
Accademico dei Lincei
Aldo Montesano
Professore emerito (economia politica), Università Bocconi, Milano
Accademico dei Lincei
Silvio Panciera
professore emerito (Epigrafia latina) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Antonio Pedone
Professore ordinario di Scienza delle Finanze, Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Giorgio Parisi
Professore ordinario di fisica teorica, Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Luigi Ludovico Pasinetti
professore emerito (Analisi economica) Università Cattolica del S. Cuore, Milano
Accademico dei Lincei
Giorgio Rebuffa
Già professore ordinario (filosofia del diritto), Università di Genova
Pietro Rescigno
professore emerito (diritto civile) Sapienza, Università di Roma
Accademico dei Lincei
Alessandro Roncaglia
Professore Ordinario di economia politica nell’Università di Roma, Sapienza
Accademico dei Lincei
Pietro Rossi
professore emerito (Filosofia della storia) Università di Torino
Accademico dei Lincei
Gennaro Sasso
professore emerito Sapienza (Filosofia teoretica) , Università di Roma
Accademico dei Lincei
Giorgio Sirilli
Già dirigente di ricerca CNR
Presidente del gruppo NESTI dell’OCSE
Paolo Sommella
professore emerito Sapienza (Topografia dell’Italia antica) , Università di Roma
Accademico dei Lincei
Mario Stefanini
Professore emerito Sapienza (Istologia), Università di Roma
Accademico dei Lincei
Fulvio Tessitore
Professore Emerito (storia della filosofia), Università di Napoli, Federico II
Accademico dei Lincei
Presidente dell’Unione Accademica Nazionale
Mario Torelli
Già Professore di archeologia e storia dell’arte, Università di Perugia
Accademico dei Lincei
Erio Tosatti
Professore ordinario di struttura della materia, SISSA Trieste
Accademico dei Lincei
Fausto Zevi
professore emerito Sapienza (Archeologia e storia dell’arte greca e romana), Università di Roma
Accademico dei Lincei