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Borse di studio, rabbia degli universitari Profumo costretto a fermare il decreto

"Penalizzati i fuori corso e il Sud”. Contrarie anche le Regioni

08/02/2013
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la Repubblica

Corrado Zunino

ROMA — Dopo quattordici mesi di concertazione, il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo — a mani nude, con il suo premier in campagna elettorale e il Pd pronto ad assicurare nuovi fondi per l’università con il governo prossimo futuro — ha provato a riformare il capitolo piangente delle borse di studio universitarie. E, fin qui, si è dovuto arrendere. Le Regioni si sono dette «poco convinte» dell’ultimo suo decreto, cambiato quattro volte da quando, venerdì scorso, sono circolate le anteprime. Incassato lo stop, ieri pomeriggio il ministro ha chiesto al fido Daniele Livon, responsabile Università al Miur, di svuotare i sette articoli presentati e generare un quinto testo entro martedì prossimo. «Bisogna lasciare i criteri del 2012», gli aveva detto Vasco Errani, governatore dell’Emilia Romagna. E così Cappellacci per la Sardegna, la Marini per l’Umbria. Destra e sinistra insieme. Con il candidato Pd del Lazio, Nicola Zingaretti, che arrembava: «Bisogna pagare il cento per cento delle borse di studio, punto». Il problema è che si parte da una situazione fuori decenza: un terzo degli “aventi diritto”, oggi, non viene saldato. Diversi studenti fuorisede in questa stagione hanno abbandonato gli studi superiori perché su quei cinquemila euro contavano. Profumo, ministro riformista che nel suo percorso da tecnico deve già contare due cocenti sconfitte (il decreto sul merito e l’aumento delle ore degli insegnanti), dopo aver parlato a lungo con gli universitari a inizio febbraio ha presentato questa proposta: tassa unica studentesca sul territorio per finanziare le borse di studio (oggi varia fra venti Regioni), lieve aumento delle risorse da parte dello Stato (220 milioni), Regioni vincolate a un minimo finanziamento (70 milioni, oggi sono libere di scegliere se e quanto mettere a bilancio). Ancora, minimi di reddito scelti per macroregioni: al Nord limite di 21.000 euro, al centro di 18.000 euro, al Sud di 15.000 euro. Soldi ai fuorisede: più 20 per cento per chi si è trasferito negli atenei di Roma, Bologna, Venezia. Una barriera anagrafica, invece, per limitare gli “studi lunghi”: niente borse alle matricole oltre i 25 anni (nel triennio) e i 32 anni (nel biennio specialistico). Infine, una scelta di merito ( leit motiv profumiano): per avere l’assegno lo studente dovrà far crescere i crediti formativi dell’anno accademico. A una matricola oggi ne bastano 20, il ministro ha chiesto di portarli a quota 35. Le associazioni studentesche — Link e Udu su tutti — hanno visionate le bozze e iniziato a contestare: la platea dei beneficiati diminuirebbe, le gabbie territoriali sfavoriranno gli studenti del Sud, gli obblighi anagrafici renderanno difficile la vita ai “lavoratori” a basso reddito. Per dare forza ai concetti, rodati da quattro anni di piazza, gli studenti hanno invaso le università di Siena e Cagliari, occupato il rettorato di Pavia, sono saliti sui tetti dell’ateneo di Parma, a Firenze hanno stampato migliaia di tovaglioli anti-decreto, si sono smutandati a Venezia. I partiti in “campagna” hanno fatto propria la mobilitazione e i governatori hanno frenato. Profumo si è fatto forza: «Approverò comunque il decreto». E per martedì ha riconvocato in viale Trastevere presidenti di Regioni e giovani contrari e favorevoli. Dopo un consulto con il ministro Barca, proporrà di togliere l’Isee per macroregioni, lasciare alle Regioni la scelta del “reddito minimo” da applicare obbligandole, però, a saldare il dovuto. Il 21 febbraio, in Conferenza Stato-Regioni, lo show down. Ieri sera il Tar di Torino ha offerto una nuova sentenza in materia: la Regione Piemonte ha intascato tasse dagli studenti (destinate a finanziare le borse di studio) di 1,97 milioni superiori agli assegni poi erogati: quei soldi vanno rimborsati


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