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Azzolina annuncia una piattaforma per la scuola a distanza. Ma non spiega come la realizzerà

Non sono chiari i tempi né le modalità della task force promessa dalla ministra dell’Istruzione in radio. Per gli esperti non si può fare in piena emergenza perché serve una formazione obbligatoria per i docenti e una certa omogeneità dei portali: «Su queste cose non ci si improvvisa»

27/02/2020
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www.linkiesta.it

«Abbiamo già istituito una task force per garantire la didattica a distanza. Il materiale è disponibile, e stiamo preparando una piattaforma dove caricare i contenuti». Così Lucia Azzolina, ministro dell’Istruzione, annuncia ai microfoni di Radio24, all’indomani della chiusura delle scuole in diverse regioni italiane per via del coronavirus, districandosi tra i problemi che l’assenza da scuola di docenti e studenti sta generando. Tra questi, anche quello del dover saltare diversi giorni di lezione da parte degli alunni. Il che ha portato alcuni a temere che si potesse perdere l’anno (Matteo Salvini, non si capisce bene da quale posizione, aveva suggerito di allungare i tempi oltre la metà di giugno). La ministra si è subito affrettata a smentire, confermando che, trattandosi di un caso straordinario, non c’è il rischio che l’anno scolastico salti. Ma intanto si pone, per gli studenti delle 28mila scuole al momento chiuse, il problema di come recuperare il tempo perso non andando a scuola.

«Il Nord Italia è ben attrezzato per rispondere a queste esigenze, ci sono molte scuole che la fanno già. C’è una scuola produttiva, e dove ci sono delle difficoltà arriveremo, la nostra task force andrà a fare formazione ai docenti per iniziare immediatamente con la didattica a distanza», ha detto Azzolina. Ma la ministra non è scesa di più nel merito e, mancando di dare indicazioni precise circa i tempi e le modalità di erogazione dei contenuti, il risultato è che la comunicazione rimane per il momento molto vaga.

Se è vero che in Italia ci sono tante scuole che gli strumenti digitali li hanno adottati per fare lezione a distanza (Azzolina cita l’Istituto Tosi di Busto Arsizio, per esempio, ma anche il Prealpi di Saronno e l’Ungaretti di Melzo), infatti, è anche vero che il comparto scolastico italiano in generale è ancora parecchio indietro sul fronte della didattica digitale. Ed è difficile immaginare che, a tempi record, si possa consentire agli studenti di ogni ordine e grado di usufruire di lezioni a tempo pieno dal divano di casa. Così come ai docenti di sapere come fargliele fare.

«Sarebbe forse possibile avviare delle normali lezioni su Skype, ma su queste cose non ci si improvvisa», confermano gli esperti Luca Raina e Maria Vittoria Alfieri, che dei progetti di didattica digitale hanno fatto il proprio pane quotidiano da diversi anni a questa parte. Raina è docente di Lettere di una scuola media del varesotto e formatore in ambito digitale, mentre Alfieri è sviluppatrice di piattaforme per la didattica online per gli editori. Insieme hanno di recente dato il via proprio una piattaforma proprio in questo ambito chiamata Bricks Lab, sostenuta da Pearson. Ed entrambi a Linkiesta confermano che fare didattica digitale non è proprio “un gioco da ragazzi”.

«Non è solo un problema di infrastruttura tecnologica, ma anche formativo e normativo», dice Raina. Perché non si tratta soltanto di consentire che tutti abbiano l’hardware necessario («i ragazzi di oggi hanno tutti uno smartphone», ha detto Azzolina) e una connessione sufficientemente veloce per mantenere il contatto online, ma anche di fare in modo che i docenti sappiano sia quali sono i software a loro disposizione per strutturare le lezioni, sia come utilizzarli. Al momento, infatti «gli editori spendono un sacco di soldi sul digitale, ma ognuno fa per sé, con il risultato che si hanno moltissime piattaforme diverse sul mercato in concorrenza tra loro, e una gran confusione», puntualizza Alfieri. In più, «pur al tempo del life-long learning, non esiste un’obbligatorietà nella formazione dei docenti in senso digitale». Il che costituisce uno dei maggiori limiti alla capacità degli insegnanti di fare uso di questi strumenti per fare lezione.

«Le scuole che sono all’avanguardia oggi è perché hanno avviato queste cose da anni. Il timore è che si cavalchi la digitalizzazione come qualcosa legato all’emergenza del coronavirus», aggiunge Alfieri. Mentre invece è un metodo che si può costruire solo nel corso di un tempo molto lungo, con attenzione costante e un importante lavoro di formazione. Qualcosa che invece oggi è interamente lasciato all’iniziativa di insegnanti “smanettoni” e dirigenti scolastici lungimiranti, mentre a livello statale nulla succede. «È dalla legge 133 (il decreto Brunetta, ndr) che aspettiamo una piattaforma ministeriale», commenta Alfieri. E infatti riuscire a mettere in piedi qualcosa di concreto in queste settimane di chiusura delle scuole non è pensabile. «Speriamo che sia il via per un progetto che prosegua anche dopo l’emergenza del coronavirus. Se c’è una cosa positiva, è che ha messo sotto agli occhi di tutti un bisogno che c’è da anni», dicono i due esperti.

Anche Alessandro Fusacchia, deputato del gruppo misto e membro della commissione parlamentare sull’Istruzione, si dice scettico sulla possibilità di implementare in tempi brevi un sistema di scuola digitale: «c’è il serio rischio, conoscendo le dinamiche amministrative al netto della volontà politica, che l’emergenza del virus sia rientrata prima che la piattaforma sia pronta», dice a Linkiesta. Sicuramente, però, «è un buon segnale e una cosa opportuna, a patto che rispetti tre criteri: che sia strutturata e non una semplice “scuola aumentata”, perché può davvero occupare gli spazi di apprendimento, e di questo c’è bisogno come il pane. Approfittiamo del vuoto sollevato dal coronavirus, ma pensiamola in maniera strutturale. Secondo, deve essere inclusiva, per assicurare sia di mantenere il livello di apprendimento che di non intaccare la socialità. Il digitale consente di fare molte più cose rispetto alla classica lezione frontale, le piattaforme possono essere veramente orizzontali e partecipative. Terzo, che sia complementare nel tempo al ritorno in classe, non solo ad affrontare l’emergenza».

Un bisogno “come il pane” che si evidenzia in tutti i sensi, e che forse potrebbe contribuire anche a risollevare le sorti degli studenti nei test Pisa, quelli che ci vedono in fondo alla classifica mondiale. Perché il digitale può consentire di fare lezione in maniera molto più coinvolgente e stimolante, sia per gli alunni che per gli insegnanti. Innanzitutto «è molto più orientato all’inclusività rispetto all’attività di aula normale», spiega Raina, consentendo di rivedere più volte i contenuti video, per esempio, e adattandosi quindi al ritmo di apprendimento del singolo studente. E poi aumenta molto la possibilità di avere una risposta da parte del docente su esercizi e altro, di fatto democratizzando il rapporto. Per non parlare delle potenzialità che consente nel rivoluzionamento della didattica in termini di flipped classroom (lezioni capovolte) e altre novità simili che puntano a scardinare la classica concezione novecentesca della scuola, con il docente in cattedra e gli alunni seduti ciascuno al proprio banco, a imparare in silenzio.

Tra le tante piattaforme che oggi sono disponibili per fare questo genere di attività (e che diverse delle scuole più “avanzate” da questo punto di vista utilizzano), Google Classroom, Edmodo e Fidenia, piattaforme di social learning che consentono di creare classi virtuali, o anche Redooc, che propone video-lezioni, appunti, formulari ed esercizi interattivi in materie sia umanistiche che scientifiche. Interessante poi anche il format di Lezioni sul sofà, che consente ai ragazzi di imparare intrattenendosi, piuttosto che passando il tempo con i videogiochi. Al solito, le aziende sono molto più avanti della scuola - e, verrebbe da dire, meno male che ci sono, in un contesto simile.

In generale, si tratta di piattaforme che si dividono in due grandi filoni: quello di LMS (Learning management System), più evoluto perché in genere offre un registro elettronico, calendario e chat, oppure quello degli aggregatori di contenuti, che consentono di creare le classi virtuali. In generale, però, «la parte organizzativa per i docenti è fondamentale», dice Raina, e uno strumento che consentisse di fare tutto in uno tra registro elettronico, coordinamento docenti e piattaforma di creazione ed erogazione di contenuti sarebbe la svolta del futuro. «Il senso di Bricks Lab è quello, una piattaforma unica dove l’insegnante prepara la lezione con test, video e altri materiali, e la dà al singolo o ai gruppi. L’aspetto rilevante è che ci sono risorse validate, contenuti editoriali ed un lavoro di metadatazione, che consente cioè che tutte le risorse possano essere identificata con dei tag, ovvero parole chiave che collegano fra loro le diverse materie. Inoltre, per ogni step è previsto un feedback allo studente».

Che sia questo il senso della piattaforma che Azzolina ha in mente? «Chissà», dice Raina. Per il momento, non è dato di sapere di più. Certo è che sfruttando le potenzialità del digitale - e con un po’ di buon senso - si potrebbero ideare contenuti fin dalle elementari, passando poi di grado per arrivare a “divertirsi” davvero con i contenuti per le scuole superiori, fino all’università, che già offre corsi a distanza. Rimarrebbe il problema di come controllare i più piccoli (ingannare l’insegnante a distanza è un attimo), ma le potenzialità sono davvero infinite. Perché in fondo, la didattica digitale è tutta in divenire - anche oltre il coronavirus. Perciò sarebbe ingenuo e frettoloso pensare di avere la risposta già in mano.


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