Avvenire-. "La soluzione? Uscire dal pubblico impiego"
. "La soluzione? Uscire dal pubblico impiego" Meroni (Diesse): un'inarrestanile crisi d'identità nata nel 1976 "La soluzione? Uscire dal pubblico impiego" (L.B.) Milano. Giuseppe Me...
. "La soluzione? Uscire dal pubblico impiego"
Meroni (Diesse): un'inarrestanile crisi d'identità nata nel 1976
"La soluzione? Uscire dal pubblico impiego"
(L.B.)
Milano. Giuseppe Meroni è presidente di "Diesse - didattica e innovazione scolastica", associazione professionale vicina alla Compagnia delle opere, una delle realtà a cui il ministero ha chiesto la valutazione della bozza di riforma: un "ponte" tra le esigenze sentite come più urgenti da parte di chi lavora nella scuola e le risposte date dal Rapporto Bertagna.
1. "Da un punto di vista sociale la svalutazione dei docenti dipende da una progressiva perdita d'identità: la società non sa più che ruolo ha il docente. Si tratta di un processo irreversibile dal 1976, quando la scuola è stata inquadrata nel pubblico impiego. Prima i professori erano riuniti in un Albo professionale, ora sono impiegati pubblici, come i bidelli o gli impiegati delle Poste. Insomma, ricoprono un ruolo impiegatizio. C'è poi una seconda causa; la società riversa sul docente richieste contraddittorie: vuole che "vada incontro" ai ragazzi in funzione di compagnia, ma esige una rigorosa preparazione da parte di un professionista dell'educazione. Un binomio che rende incerta la sua rappresentazione sociale. Quanto al lato remunerativo, è grave la sua identificazione con tutto il comparto scuola: il docente è agganciato alla retribuzione del personale non docente, cioè dei bidelli, e quindi un aumento del suo stipendio è ancorato al livello minimo. Tutto ciò grazie alle "conquiste" dell'egualitarismo sindacale. Eppure oggi i sindacati mettono in scena un'indignazione che è solo ideologica".
2. "L'errore dei professori semmai è di essersi appiattiti su questo egualitarismo. Ma non sono contrari ad accettare una valutazione dei loro meriti sul campo. Sono contrari, invece, a criteri di valutazione che piovono dall'alto. I sindacati poggiano su 30mila persone distaccate dall'insegnamento, che non lavorano in classe eppure pretendono di dettare ai docenti le condizioni della professione. La stessa cosa ha sempre fatto il ministero. Ma un codice deontologico può venire solo dagli stessi professori. Chi deve stabilire le qualità dell'insegnamento? Le associazioni professionali: sono i luoghi dove è giusto che si determini se un docente ha maturato un certo tipo di esperienze. Il passo successivo è capitalizzare questi percorsi come crediti in una carriera personale. Questo tipo di meritocrazia non si rifiuta, i "concorsoni" o i test da compilare sì".
3. La proposta Bertagna è interessante. Si prefigura un itinerario che dopo i 3 anni di università prevede 2 anni di specializzazione sull'insegnamento, seguiti da un cammino di crediti capitalizzabili: si inizia con un biennio di lavoro a scuola, con accanto un tutoraggio; se questa fase ha un esito positivo, il neo docente guadagna un tot di credito, che corrisponde al primo gradino di carriera. Poi, man mano che procede nella scuola, vede valorizzato l'accreditamento delle sue funzioni. Ad ogni aumento di credito, c'è uno scatto nella carriera e quindi nella retribuzione. Ma è importantissimo che tutto ciò avvenga nelle scuole, non al di fuori o, peggio, al di sopra di esse, e che non sia qualcosa di cartaceo, modulistico, burocratico. La formazione inizia in università, ma è in itinere che diventa realtà".
(L.B.)