Avvenire-L'ora dei percorsi flessibili
POST STATI GENERALI SCUOLA, L'ORA DEI PERCORSI FLESSIBILI Giorgio Chiosso I documenti elaborati dal gruppo degli esperti del ministro Moratti e presentati in occasione dei recenti Stati Gen...
POST STATI GENERALI
SCUOLA, L'ORA DEI PERCORSI FLESSIBILI
Giorgio Chiosso
I documenti elaborati dal gruppo degli esperti del ministro Moratti e presentati in occasione dei recenti Stati Generali hanno avviato un'ampia discussione sulla riforma scolastica. Dopo i cortei, le proteste e gli slogan rituali sarebbe importante ora aiutare il mondo politico a indirizzarsi sulle scelte migliori.
Gli opinionisti e gli esperti di scuola hanno per lo più rivolto la loro attenzione alle cosiddette "proposte di sistema": se sia opportuno o meno pensare all'acquisizione di un credito formativo già nella scuola dell'infanzia, se sia compatibile la riduzione del percorso secondario di un anno con l'esigenza di qualità della preparazione, a quali condizioni si possa dar vita ad un nuovo canale di formazione secondaria finalizzato alle professioni, ecc. Minore interesse hanno, invece, suscitato altre "raccomandazioni" degli esperti, come ad esempio quella - che si può considerare il vero "cuore" del progetto - dei percorsi scolastici "personalizzati" predisposti, cioè, non più sulla base dei tradizionali programmi, ma sul "profilo in uscita" (educativo, culturale, professionale) dell'alunno ovvero ciò che dovrebbe "sapere ed essere" uno studente al termine di ogni ciclo scolastico.
La fine dei tradizionali programmi d'insegnamento è già stata sancita dalla legge sull'autonomia delle scuole, approvata nel 1997 ed entrata in vigore l'anno scorso. Le varie forme di autonomia attribuite alle scuole (organizzativa, didattica, finanziaria, ecc.) risultano finalizzate infatti non solo al decentramento di competenze burocratiche. Esse in realtà sono funzionali alla costruzione di un modello scolastico, d'un lato più aderente di quanto non accada oggi alle specifiche esigenze educative e, dall'altro, meglio bilanciato tra centro e periferia. Al centro (Stato e Regioni, per quanto compete a queste) spetta l'indicazione dei "profili in uscita" con i relativi obiettivi di apprendimento degli alunni, mentre alla periferia (le singole unità scolastiche) è assegnata la responsabilità della messa a punto dei percorsi culturali ed educativi.
Da questa nuova impostazione scaturiscono alcune conseguenze attraverso cui dovrà inevitabilmente confrontarsi il riordino del sistema educativo.
La prima è legata alla possibilità di rendere, come si dice con termine tecnico, "flessibili" i processi educativi e quelli scolastici, con l'opzione di predisporre diversi itinerari di studio distinti per classe, gruppi, livelli di apprendimento dei singoli allievi, ecc. fino al punto da certificare, a determinate condizioni, anche conoscenze ed abilità conseguite esternamente alla scuola. Finora abbiamo pensato a gruppi di allievi raccolti in classi che compiono insieme il medesimo percorso. Molte ricerche ci dicono che, specie a livello secondario, questa soluzione non è l'unica e talvolta non è sempre la più efficace.
Ciascun soggetto va posto nelle condizioni di sviluppare al meglio le proprie capacità e di trovare l'adeguata valorizzazione delle proprie attitudini alternando l'attività di classe con altre esperienze. Chi fa più fatica ha diritto che gli siano messi a disposizione strutture e servizi che lo aiutino a superare le proprie difficoltà.
La giustizia educativa può essere garantita in modo anche più efficace rispetto a quanto accade oggi proprio mediante la differenziazione "personalizzata" degli interventi e dei servizi.
La seconda conseguenza è che scuola dell'autonomia e della "personalizzazione", non più regolata in ogni dettaglio dallo Stato (con l'uso, per esempio, delle "circolari"), è affidata soprattutto alla negoziazione tra i vari soggetti interessati: dirigenti, docenti, famiglie, studenti, varie espressioni della società civile. E tuttavia non si vede qui un rischio "aziendalistico" in tale scelta. Il modello dell'autonomia e della "personalizzazione" si ispira piuttosto al principio della scuola come "centro comunitario". La comunità scolastica non vive di "prodotti" e non è governata dagli standard dell'ottimizzazione delle prestazioni. Essa ha per scopo il bene delle persone e l'interesse collettivo. Di qui la cura che ciascun allievo riceva ciò di cui ha bisogno. Ma la sensibilità solidaristica non può condannare la vita di tutta la scuola alla grigia uniformità.
Il cuore della riforma si gioca proprio sul rafforzamento della natura "personalizzante" della scuola. L'alternativa culturale e pedagogica cui il sistema educativo e formativo italiano si trova di fronte è dunque molto semplice: continuare a ragionare in termini di "scuola uguale per tutti" oppure cominciare a pensare in termini di strategie flessibili rispetto a differenti bisogni d'istruzione e di formazione. La sfida è quella di dar vita ad una scuola di "ciascuno e per tutti" secondo una felice espressione coniata 40 anni orsono da uno dei padri della scuola media, Gesualdo Nosengo e sempre valida.